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21 giugno 2007

Prima o poi tutti gettiamo la spugna

Una volta ho avuto un modem 14.4 kbps. Era l'inverno tra il '94 e il '95, Marcos leggeva la prima dichiarazione della Selva Lacandona, il mio provider si chiamava Iper.net e la prima volta che mi sono collegato, tra le tante paure che avevo c'era anche quella che "gli altri in Rete" vedessero cosa stavo facendo. Però ero curioso, e quella paura non mi ha fermato. Per fortuna.

Capitava di parlare di questa cosa misteriosa che si chiamava Internet a cena fuori con gli amici. Loro avevano sentito quella parola e non ne sapevano nulla, se non che non avrebbero saputo che farsene, quindi non gli serviva. I miei tentativi di argomentare citando i tassi di crescita iperbolici della Rete si scontravano immancabilmente con un vecchio espediente retorico firmato Marcello Marchesi che mi ha sempre fatto incazzare. Il massimo che ottenevo erano sguardi perplessi, ma in fondo ero innocuo.

Qualche anno dopo frequentavo un newsgroup italiano e una mailing list americana di cinema. I miei amici avevano capito un po' a cosa serviva Internet (comprare voli, guardare le previsioni del tempo) ma non riuscivano proprio a capire per quale ragione potesse interessarmi discutere online con altre persone. Avevo già i miei amici nel mondo reale, che sono gli unici amici veri: che utilità poteva avere scriversi tra persone che non si sono mai incontrate? Cosa potevo avere in comune con gente che non conoscevo? La cosa dall'innocuo entrava nell'ambito del decisamente strano, ma suscitava ancora soltanto sguardi di sufficienza.

Quando ebbi una storia nata in Rete le cose cambiarono. Non si trattava più di passatempi innocenti per gente un po' svitata: questa era una cosa seria. Amore?!? Innamorarsi di qualcuno attraverso Internet? Una persona che non si è mai incontrata? Questa era davvero grossa: violava tutto ciò in cui credevano. Il loro mondo non funzionava così: le persone si potevano innamorare solo faccia a faccia, come era sempre stato. Al massimo presentate dagli amici, ma a distanza, questo no. Mai. Gli sguardi da sufficienza diventarono di compatimento.

Quando cominciai a scrivere su un blog le cose cambiarono ancora una volta. Scrivere di sé in un posto in cui tutti possono leggere doveva essere per forza una forma di esibizionismo malato. I diari erano privati, i propri pensieri si confidavano solo a chi si conosce bene. Qualunque altra forma di espressione pubblica di sé, in particolare in quel mondo misterioso e pericoloso di Internet, era da guardare con sospetto. Che tipo di persona vorrebbe mai raccontare i propri fatti privati in pubblico, se non un disadattato? Gli sguardi da compatimento diventarono di ostilità.

Oggi i miei amici di allora usano la Rete tutti i giorni, scrivono in chat, usano i forum, trovano il partner online e alcuni stanno pensando di aprirsi un blog. E' a questo che penso quando, ancora una volta, incontro sguardi perplessi, di sufficienza, compatimento, ostilità, parlando di Twitter o di Second Life.

Perché ogni volta che le interazioni in Rete sottraggono un po' di distanza e astrazione per diventare più calde e più collettive, ogni volta che si abbatte un nuovo pezzo di barriera che separa le persone, ogni volta che lo strumento richiede di esporsi e mettersi un po' più in gioco personalmente, ogni volta che è richiesto un minimo di impegno per capire, e di provare sulla fiducia le potenzialità inesplorate di un nuovo ambiente che non si conosce, subentra la paura. Che è sempre la stessa di dodici anni fa: a cosa servirà, cosa avranno in testa quelli che lo usano, se ne ho sempre fatto a meno perché dovrebbe servirmi proprio adesso, perché dovrei fidarmi, saprò usarlo.

E' normale: tutti pensiamo (trad.: desideriamo) che il mondo si fermi nel momento in cui ci troviamo, se non in quello in cui ci siamo divertiti di più. Per dire, c'è gente che ancora ascolta gli Spandau Ballet. Ma il mondo non si ferma, l'unica cosa che succede è che siamo noi a un certo punto a gettare la spugna. E abbiamo il diritto di farlo, ma se vogliamo essere onesti dobbiamo dire "ho gettato la spugna", non "queste robe nuove sono tutte cazzate".

Io ti posso solo dire quello che ho sempre detto a tutte le persone che mi hanno guardato strano: provaci.

Non chiedere a cosa serve: provaci.
Anche se per adesso non sai che fartene, provaci.
Non proiettare le tue paure sullo strumento, provaci.
Se sei curiosa, provaci; ma anche se pensi che non ti serva, provaci. Qualunque cosa accada, probabilmente scoprirai qualcosa su te stessa.

"Non è il caso di preoccuparsi: prima o poi tutti gettiamo la spugna. E' naturale." (David Orban)

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