I link dei maestrini su del.icio.us (tieni il puntatore sul link e compare la spiega)

01 febbraio 2008

John McCain, il ribelle dell'Arizona

Mi colpisce sempre lo scarso interesse che i media nostrani sembrano avere per le elezioni che avvengono nel resto del mondo. Come se il fatto che nel mondo non si occupano dell'Italia richiedesse una vendetta. Così chi guarda il TG conosce i più irrilevanti particolari del gossip politico nostrano ma difficilmente sa qualcosa di John McCain, possibile (anzi dopo la Florida probabile) candidato repubblicano alle Presidenziali USA. Ed è un peccato, perché è un personaggio interessante e inquietante al tempo stesso.

Prima di tutto per il fatto di essere quasi un indipendente: franco, diretto, senza peli sulla lingua, non ha mai esitato a schierarsi contro Bush o con i Democratici quando riteneva fosse giusto. Sul suo Straight Talk Express, il bus della campagna elettorale rinominato Bullshit 1 dai giornalisti al seguito, McCain attraversa gli stati dell'Unione parlando con una franchezza quasi brutale, concludendo tutti i comizi con la frase "qualunque cosa accada, una cosa dovete sapere: I. Will. Always. Tell. You. The. Truth".

Un buon ritratto di McCain lo fa David Foster Wallace, che in Considera l'Aragosta ripubblica un brillante reportage originariamente apparso su Rolling Stone, scritto a bordo dello Straight Talk Express durante le Primarie USA del 1999. Nel reportage in cui Wallace analizza minuziosamente strategie, sensazioni e sottotesti del messaggio di McCain e dell'atmosfera del viaggio, una domanda emerge sopra le altre: quando McCain parla di Dire Sempre La Verità e comportarsi secondo il proprio senso dell'onore qualciuno gli crede Veramente, visto che sappiamo tutti che i politici mentono?

Eppure è difficile non considerare il fatto che quel politico che parla di onore (come tutti gli altri politici) nel 1967 è stato abbattuto sul cielo di Hanoi e si è fatto cinque anni di tortura, con ripetute rotture di vari arti (è la ragione per cui non riesce ad alzare le braccia al di sopra delle spalle) e altri particolari orripilanti che non volete sapere. Non solo: ha addirittura rifiutato di essere liberato se i suoi compagni di cella fossero restati in prigione. Per una questione d'onore. E, dice Wallace, questo getta una luce un po' diversa su cosa sia l'onore per l'uomo McCain, ancora prima che per il politico.

Questo forse getta anche una luce un po' diversa sul tipo di uomo che è McCain: per quanto un tale coraggio possa essere ammirevole, fa anche un po' paura: non si può fare a meno di chiedersi se ad alimentarlo ci sia una forza d'animo sovrumana oppure una base di fanatismo quasi spaventosa, o entrambe. Fanatismo, schiettezza, determinazione: McCain è il classico uomo forte del Sud Maschio Alfa Bianco Americano che non ascolta nessuno e agisce di testa sua spinto dalla forza più potente del mondo: la convinzione di avere ragione. Ma che sta anche facendo l'errore di dire agli elettori quello che pensa veramente invece di quello che vogliono sentirsi dire (ritiro dall'Iraq, tagli alle tasse, misure antirecessione).

McCain è antiabortista in un paese che è sì religioso, ma anche liberalista; è a favore della pena di morte in un momento in cui la si ridiscute, contrario all'assistenza sanitaria nazionale in un momento in cui moltissimi la chiedono, falco in questioni di Difesa e fautore del potenziamento dell'esercito e della permanenza in Iraq "per altri 100 anni se dovesse essere necessario" quando Iraq e 9/11 sono parole che hanno ormai nauseato l'opinione pubblica. Per di più, è indisciplinato e poco rispettato dalle gerarchie repubblicane, oltre che politicamente scorretto verso certe minoranze presenti nella base elettorale del suo partito (qualche giorno fa ha usato pubblicamente l'espressione "musi gialli" riferendosi ai vietnamiti - che ok, l'hanno torturato, ma sono passati anche 40 anni).

E ha 71 anni: troppo vecchio per due mandati, e troppo old establishment (ha alle spalle 25 anni tra Congresso e Senato) in un momento in cui l'America cerca il change nei giovani (Obama) e nelle minoranze (beh, Obama). Se McCain vincesse le primarie (più che possibile) o addirittura diventasse Presidente avrebbe fatto un piccolo miracolo, ma a noi resterebbe a capo del paese più potente del mondo un eroe di guerra che è anche un criptorazzista interventista, scarsamente interessato all'economia e poco propenso ad ascoltare i suoi consiglieri (ancora meno il suo partito) sulle questioni su cui ha opinioni forti: in una parola, imprevedibile. La buona vecchia massima brechtiana del "felice il paese che non ha bisogno di eroi" è sempre attuale.

Etichette: , , , ,

08 gennaio 2008

Via da Las Vegas

Ma quando inizia precisamente un viaggio? Qual è il momento in cui dici a te stessa "ok, sono via, si diverte, in senso letterale"? A volte è la chiusura delle valige. Puff, le chiudi, controlli e tutto il resto scompare. Altre è il primo passo, che per me tipicamente è un percorso abituale, Garibaldi-Cadorna o Garilbaldi-Bovisa per andare a prendere il passante. Questa volta è stato quando in aereo sono stata svegliata da delle luci assolutamente incongrue durante un volo talmente tranquillo da permettermi di dimenticare di tirar giù la mascherina del finestrino. Pochi minuti dopo aver visto le luci ho pensato di stare per vedere anche la luce eterna, perché o stavamo per precipitare o la manovra di avvicinamento a Las Vegas è stata sceneggiata da Steven Spielberg: l'aereo costeggia per diversi minuti lo Strip a bassissima quota, vira sopra l'MGM Grand e pare inabissarsi nel niente. Non siamo precipitati, direi, perché nei sei giorni seguenti, preso possesso di un ovvio SUV rosso, ci siamo fatti 2000 miglia di periplo dell'Indian Country, cioè le terre in comune a Arizona, Utah, Colorado e New Mexico che sono state in parte "restituite" ai nativi americani. Come sempre accade, l'abbiamo scoperto dopo: il nostro itinerario era un assai più banale Las Vegas - Grand Canyon - Santa Fe - Monument Valley - Bryce Canyon - Las Vegas. Poi ho trovato la cartina perfetta (adorando i viaggi on the road, non posso che amare le carte geografiche, pur odiando le mappe delle città) e la cartina perfetta si chiama "Indian Country", ma questa è un'altra storia. Perché tornare a Las Vegas dopo sei giorni di deserto, montagna, cultura, storia e silenzio assoluto fa uno strano effetto, straniante, snervante, disorientate. La conseguenza principale è che mi sono scoperta innamorata di questa città improbabile, disturbante, fuori luogo, offensiva, materialista eppure diretta, sincera, illuminata da una luce perfetta, a tratti buffa, il simbolo assoluto del capitalismo fuori controllo e della capacità tutta umana di trasformare (e distruggere) l'ambiente a ogni costo, nel bene e nel male.

Etichette: , , ,