I link dei maestrini su del.icio.us (tieni il puntatore sul link e compare la spiega)

25 febbraio 2008

[x-view] Non è un paese per vecchi

"Sto per fare una stronzata, ma la farò lo stesso".

Acqua a chi sta morendo, nell'incerto dell'umanità: uomini ad aria compressa, illuminati da ossimori, centellinati in bigliettoni, raccolti nel sangue che scorre e non uccide, non in campo.

I Coen prendono l'alienazione di Cormac McCarthy e la rispettano fino in fondo, raddensando il grottesco nella pettinatura di Javier Bardem e lasciando respirare la polvere del Texas, giù giù giù fino in platea. Tu inali e ridi con le ossa da fuori, e lo farai ancora e ancora di nuovo.

Non è un paese per vecchi
Ethan & Joel Coen

Etichette: , , ,

30 gennaio 2008

[x-view] Cloverfield

La videocamera indugia, si avvicina, mette a fuoco, è impossibile da abbandonare, protesi scoperta per caso e immediato prolungamento del proprio corpo, più mente che occhio. La videocamera - la macchina da presa - questa volta è in campo e si vede, perché noi vediamo solo ciò che vede colui a cui è stato chiesto di "documentare". Documentare una festa, una lite, una strage, la propria morte: morte che ha una fisionomia aliena su cui si indugia perché guardare, guardare è troppo bello, se sei nascosto dietro un obiettivo è irrinunciabile.

Non siamo più solo spettatori, ma guardare resta la droga che preferiamo: non guardiamo più quel che decidono gli altri ma quello che giriamo, montiamo, uploadiamo noi, che sia su YouTube o al cinema, che sia in privato o nel pubblico personalizzato della rete.

"Odio le telecamere. Preferisco ricordare le cose a modo mio" diceva il protagonista di Lost Highway, forse il film che più limpidamente di altri ci ha dimostrato l'orrore del buio, del non vedere, dell'essere tenuti all'oscuro. Cloverfield è il reale in presa diretta e innova non tanto nello stile - che da Blair Witch Project e da Dogma sono passati anni - quanto nella narrazione, nel suo portare alle estreme conseguenze il totale disinteresse nei confronti del plot, della verosimiglianza, anche dei personaggi.

Perfettamente a metà strada tra la realtà digitale degli ultimi Zemeckis e la fantasia realistica di film come Io non sono qui o Across the Universe, Cloverfield indica un'altra direzione al cinema, una direzione vicina al fantastico e sottovalutato Timecode di Figgis: la forma come lente che narrativizza il banale, in questo caso rappresentato da uno dei plot più classici del cinema catastrofico, riempendolo di significato che permetterà a chi vuole di divertircisi, al cinefilo di sognare.

Imperdibile, meglio se in versione originale.

Etichette: , , ,

05 marzo 2007

[x-view] Uno su due (della serie: quando c'è la salute, signora mia)

Ci sono poche sensazioni più erotiche del perfetto funzionamento del tuo corpo: lo senti muoversi e accelerare, le gambe spingono, le braccia ondeggiano, i muscoli si contraggono e si rilasciano a seconda delle esigenze. La corsa impegna tutto il corpo, come un amante che non si accontenta.
(pezzo tagliato da "Non giocare con la sabbia, in Hard Blog)

A 19 anni ero da poco andata a vivere da sola, dopo un anno di collegio a Milano. Ero euforica per la libertà, ma senza strafare, insomma, studiavo e mi nutrivo pure. Una sera sono uscita con uno che vedevo ogni tanto, abbiamo bevuto troppa tequila e fatto assai sesso. La mattina dopo mi sveglio annientata, un hangover da paura. La sera dopo ero piegata in due dal dolore. La notte deliravo, tre giorni dopo è arrivata mia madre da Taranto e mi hanno ricoverata in clinica. Una settimana dopo, una di quelle settimane in cui capisci cosa vuol dire sbavare al solo immaginare una siringa, sento il medico dire a mia madre "Forse abbiamo capito cos'ha".
Io avevo la febbre a 41 da giorni, diverse coliche renali alle spalli e la convinzione - tipica dei sani - che i medici sappiano SEMPRE cosa fare. Ricordo i brividi per la febbre e una foglia che girava impazzita su un albero, l'ultima foglia rimasta su quel cazzo di albero, un'infermiera sadica che mi annunciava clisteri come se godesse a farli, le crescenti difficoltà a trovare le vene per la flebo, la paura che fosse tutta colpa mia, che ero una bambina cattiva che beveva tequila e scopava in giro. Ho sfiorato il collasso renale, ma il medico aveva capito davvero cos'avevo, anche se diversi altri medici negli anni a venire si sono assai sbattuti per capire se era curabile una volta per tutte (non lo era, almeno, non finora, ma i reni ancora funzionano, per ora). Faccio una cura buffa che si chiama idropinoterapia e vuol dire solo che devo bere almeno tre litri d'acqua oligominerale al giorno (il che vuol dire che in due terzi del mondo sarei già morta da anni). Sono fortunata: posso fare quello che voglio, l'unico imperativo è mantenermi il più in forma possibile, ma ormai è più che altro un piacere. Me la sono vista brutta per molti anni, ma sono sopravvissuta.

Uno di due, di Eugenio Cappuccio, racconta una storia simile. Forse non è un grande film, però è un film importante: perché è vero quel che si dice, che ritrovarsi all'improvviso bisognoso di aiuto anche solo per fare pipì è una di quelle secchiate in faccia di cui poi sei grato per tutta la vita. Se riesci a simulare la secchiata senza farti qualche giorno di ospedale e trovarti davanti a un medico che ci mette minuti interi a leggere le analisi da cui dipende il tuo futuro, è meglio, anche se è difficile.
Non c'è felicità superiore a svegliarsi la mattina e sentirsi perfettamente in forma, non c'è piacere più grande di sentire che - anche oggi!! - il tuo corpo funziona, ma te ne rendi conto solo se un giorno hai davvero avuto paura che non ti saresti alzato (o svegliato) mai più.

Etichette: , , ,