I link dei maestrini su del.icio.us (tieni il puntatore sul link e compare la spiega)

18 dicembre 2008

Cosa regalare a un geek + 3 cose che ho scoperto o imparato ultimamente e che condivido perché potrebbero un giorno esservi utili [lungo]

Primo, non denunciare il tuo cliente
Il nuovo modello di business del mercato musicale trova finalmente la sua prima applicazione: le major del disco stanno stringendo accordi con le università americane per la stipula di contratti di licenza collettiva: ogni studente potrà scaricare tutto quello che desidera per un fisso annuale. E' il modello del Voluntary Collective Licensing, proposto nel 2003 dall'Electronic Frontier Foundation e che le major per oltre 5 anni hanno masochisticamente ignorato, perdendo e facendo perdere agli artisti milioni di dollari in introiti, e portando in tribunale centinaia di propri clienti. In questi 5 anni non ho mai trovato nessuno, anche addentro alle questioni di Internet e musica, che fosse a conoscenza di questa proposta dell'EFF.


Dada Music Movement e Mygazines: content is (almost) free
Me lo segnala un'amica che ci lavora, ma l'ho usato, l'ho trovato ben fatto e utile e quindi ve lo consiglio, anche perché secondo me funzionerà moltissimo tra i teenager che, credo, lo useranno come usano ora YouTube (cioè per ascoltarci la musica: lo sapevate?). A Dada oggi sono abbastanza svegli e illuminati da capire che se dai un servizio completo come Music Movement (ascolto intero del brano, no DRM) utilizzabile anche gratuitamente, poi chi se lo può permettere compra, e chi non se lo può permettere tanto non avrebbe comprato lo stesso (e 33 cents a brano non sono ancora l'ideale, ma cominciamo a avvicinarci).

Non è da tutti. Per esempio non ci sono ancora arrivati gli editori di periodici, che sono persino più gnucchi di quelli di libri e hanno fatto chiudere Mygazines senza rendersi conto che quello che esce dalla porta rientra dalla finestra (infatti ora Mygazines sarà probabilmente acquisito da Google e diventerà la book search per le riviste, con cui gli editori di libri son dovuti venire a patti).
Tutto tempo, soldi e incazzatura dei consumatori (che si traduce in ostilità e mancate vendite) che avrebbero potuto essere risparmiati, se solo le major e gli editori fossero state ad ascoltare quello che gli si diceva non più tardi di due anni fa.


Non regali ma opere di bene
Se quest'anno non ti va di fare i soliti regali (vuoi per crisi, vuoi per noia, vuoi perché sei finalmente diventato un bimbo grande) magari riesci a mettere da parte un cinquantino da devolvere a qualche organizzazione che li metterà a frutto per qualcosa di veramente utile.

Io ti consiglio le mie:

Greenpeace da decenni conduce una battaglia mediatica e legale (ma anche aggressivamente fisica, perché con certe corporation non ci puoi ragionare) contro gli abusi e le violazioni dell'ecosistema e in difesa della risorsa più preziosa che abbiamo, l'unica cosa da cui dipende tutto il resto: il pianeta stesso. Iscriviti qui.

Amnesty International si occupa della seconda cosa più importante dopo il pianeta: la difesa della libertà, della dignità e dei diritti umani e civili. Ancora prima della politica, della religione, della filosofia e di qualunque altra attività umana c'è questo: senza le stesse condizioni di libertà, dignità, accesso alle risorse per soddisfare i bisogni primari di tutti gli abitanti della terra, nessuno di noi può dirsi orgoglioso di appartenere alla razza umana. E siamo ancora molto lontani. Aderisci ad Amnesty qui.

Electronic Frontier Foundation
dal 1990 difende i diritti di tutti noi in Rete: difende la privacy, la neutralità, i nostri diritti di consumatori e di cittadini della Rete, fronteggia le grandi aziende e persino i governi. E come Amnesty e Greenpeace (perché qui parliamo non di politica ma di gente che le cose le FA veramente) li porta in tribunale, e la cosa bella è che VINCE pure. Senza l'EFF, Internet oggi sarebbe ancora meno libera, meno aperta, meno egualitaria. Se ti occupi di Internet professionalmente, o se comunque ci tieni ai tuoi diritti, EFF merita davvero la tua adesione, quindi iscriviti.


Se per forza di cose devi adempiere al tuo ruolo sociale predestinato di consumatore, ecco cosa regalare per natale a un geek
La prima regola è che non si sa mai cosa regalare a un geek perché è praticamente impossibile scoprire quale esatto modello di quale esatto oggetto il geek desidera (e lui desidera quello e solo quello). Quindi il (o la) geek le cose se le compra da solo, o – se è tuo figlio o un parente – è molto meglio se gli dai i soldi e non fai figure squallide cercando di indovinare.

Se tipo è un moroso/a e non puoi dargli soldi, considera uno dei seguenti oggetti:

Un media player, ovvero hard disk per giuardare film e serie TV direttamente sul TV senza passare dal computer (ma non comprargli un Lacie, che è a rischio sòla).

Una Internet radio wifi, per ascoltare direttamente sulla radio migliaia di webradio da tutto il mondo.

Un lettore di e-book, che comincia a essere sensato&utile, ma apprezzerà soprattutto in quanto figo da usare sulla metro e in treno. Migliaia di titoli scaricabili anche in public domain garantiscono anni di lettura senza mai più comprare un antiquato e antiecologico libro di carta.

Un router o media player con bittorrent integrato. Per l'appassionato di serie TV, praticamente il paese di Bengodi. (Non so consigliarti un modello o una marca quindi se hai esperienza su questo o uno degli articoli qui sopra, fammi sapere e aggiorno il post)

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30 ottobre 2007

Il contratto che recinta i giornalisti

Chi mi legge capisce regolarmente lo sa: credo che nella stragrande maggioranza dei casi i singoli siano intelligenti, competenti e leali e che le organizzazioni note come aziende siano il modo più efficiente per trasformare l'interazione dei comportamenti dei singoli in un pantano ipocrita e senza senso. Marco Mazzei dà una buona dimostrazione di questa mia convinzione parlando di una categoria di cui ci si lamenta spesso:
Il contratto - e i giornalisti italiani, però, hanno un problema più grande, che si chiama organizzazione del lavoro e ruoli. Il contratto giornalistico disegna un’organizzazione rettangolare, gerarchica e chiusa. Rettangolare nel senso che può essere rappresentata con una serie di rettangoli all’interno del quale è scritta una definizione; un rettangolo sopra l’altro si parte del praticante per arrivare al direttore responsabile, passando per redattore, caposervizio e caporedattore (esistono simpatiche sfumature come i “vice” che non cambiano la sostanza). Questo modello non esiste in Rete e quindi non può funzionare. In Rete ci sono i cerchi, e le strutture sono aperte.

Leggetelo tutto, il suo post: il sistema siamo noi, è fatto da persone come noi, se noi accettiamo che non si può cambiare siamo fottuti.

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18 ottobre 2007

No more slide pliz

Più o meno un anno fa cercavo di spiegare qual è il rischio che corrono gli editori incapaci di migliorare la propria offerta informativa (e pubblicitaria). Oggi (via Online Community Report) Trevor Edwards, uno dei corporate vice president di Nike, dice chiaro e tondo come potrebbe cambiare il rapporto delle aziende con i media con l'affermarsi di un medium dove un'azienda può comunicare senza dover acquistare spazi tabellari:
"We’re not in the business of keeping the media companies alive, we’re in the business of connecting with consumers.”

D'altra parte ha ragione anche Layla quando ci ricorda che:
"Oggi non è plausibile pensare che un solo mezzo, fosse anche Internet che certamente è più di un media, possa rispondere esaustivamente alle esigenze di marketing e comunicazione.

La conclusione è una sola: c'è un enorme spazio di mercato per un editore illuminato e un po' meno miope del solito. Ci sono volontari?

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05 settembre 2007

Le competenze dell'editoria

Buona parte del giornalismo contemporaneo è orientato alla produzione di informazione in una minima parte e di intrattenimento per grandissima.
Per intrattenimento intendo letteralmente tutto quello che non è notizia e non serve a niente altro che non a passare piacevolmente il tempo: il gossip come la divulgazione pseudoscientifica come l'accanirsi di cronaca nera fino al costume.

Pare inevitabile quindi che la produzione di contenuti da parte di tutti noi rispecchi questa proporzione: a fronte di una percentuale minima di vero e proprio User Generated Content (per me nell'ordine dell'1%) la stragrande percentuale di contenuti prodotti in rete ha un valore esclusivamente sociale e di intrattenimento. Di autointrattenimento. Di intrattenimento non progettato o gestito da terzi. Un po' come sedersi sulla soglia di casa a far flanella come ancora adesso si usa al Sud, invece di andare a dar soldi a un bar. Personalmente ritengo questo più rivoluzionario della possibilità di fare giornalismo senza un incarico da parte di una testata (e non perché questo non sia rivoluzionario).

Se mi seguite fin qui, questo spazza via in un sol colpo tutte le menate sulla:
  1. fuffa (certo che è fuffa, o tu con gli amici parli di Plotino?)
  2. utilità o inutilità dei social media (in base a quale metro, poi non si sa)
  3. futuro dell'editoria (che deve "solo" scegliere se limitarsi all'informazione (no more Cogne) o abituarsi a fare anche da semplice padrone di casa chi di sceglie dove, quando e come cazzeggiare con gli amici)
Detto in altro modo, una community (a prescindere dallo strumento usato) è di competenza dell'editoria tradizionale? E se no, di chi? Progettare un ambiente sociale ha o no a che fare con il ruolo di intrattenitori del pubblico che stampa, televisione e radio hanno scelto di interpretare in modo sempre più marcato negli ultimi anni?

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20 aprile 2007

Breve intro alle case editrici

Si fa presto a dire "giornalisti": in realtà i giochi e i giri di un editore sono decisamente complicati e mi rendo conto sempre più spesso che pochissime persone hanno una seppur vaga consapevolezza di come funziona una casa editrice. Per migliorare la conversazione (caldissima) in merito, ecco un tentativo simil-wikipedia di spiegare una casa editrice al resto del mondo.

L'editore
Un editore è un imprenditore (o un gruppo di manager) che sempre meno spesso ha a cuore il prodotto da cui deve trarre utili: l'informazione è una merce da vendere in cambio di soldi e di attenzione, quell'attenzione che viene scambiata con inserzioni pubblicitarie. L'editore ogni tot tira una riga e alla fine della riga deve esserci un PIU', anche se stai salvando il mondo dalla barbarie. In alcuni casi ci sono complicazioni politiche o finanziarie di notevole livello (vedi Patto di Sindacato del Corriere della Sera).

La redazione
In teoria, il direttore responsabile di una testata non è soggetto all'autorità di nessuno, neanche dell'editore. In pratica i suoi margini di manovra sono vincolati dai budget e dalla voglia di mantenere il posto, idem per la sua autonomia in termini di linea editoriale e di gestione della redazione.
Salvo casi particolari (i quotidiani), i giornalisti in redazione scrivono poco, pochissimo. Il loro lavoro consiste quasi esclusivamente - a seconda del livello gerarchico - nel decidere di cosa parlare, nello scegliere a chi farlo scrivere, nel "passare" i pezzi quando arrivano dai collaboratori e nel curare la produzione delle singole pagine (lunghezze, titoli, didascalie, foto). In teoria il redattore dovrebbe anche verificare le singole informazioni scritte dai collaboratori, in pratica è qui che, in un'orgia di ansia di semplificazione, vengono commessi i peggiori misfatti nei confronti della precisione. Una buona "cucina editoriale" però migliora lo stile dei pezzi e soprattutto li omogeneizza, per evitare salti stilistici troppo evidenti. I (poli)grafici dovrebbero rientrare a pieno titolo nel lavoro editoriale, ma non capita troppo spesso.
L'organizzazione di una redazione dipende dalla periodicità e dalla complessità della testata: ci sono testate portate avanti da 1/2 redattori e altre con centinaia. A volte, soprattutto per la televisione, il numero di redattori/autori è anche funzione dell'ego e del potere del direttore. Il cuore della macchina redazionale è comunque l'Ufficio Centrale, i cui redattori sono detti anche "culi di pietra" perché in quella posizione - di potere - non puoi che far fare ad altri tutto quello che serve, limitandoti a commissionarlo e a controllarlo.

Un'altra realtà importantissima all'interno di una redazione è il CdR (Comitato di Redazione), cioè la rappresentanza sindacale. Di solito lavora per proteggere i giornalisti dagli abusi dell'editore, ma purtroppo è spesso una delle forze che rallentano maggiormente l'evoluzione delle testate, soprattutto dal punto di vista dei cambiamenti di ruolo e della fluidità di passaggio al web. Perché un giornalista di una testata scriva anche sul sito, per esempio, è necessaria un'integrazione del contratto (articolo 29). Tutto questo protegge abbastanza bene i giornalisti assunti (articolo 1), mentre i collaboratori e i precari sono completamente a rischio, e quindi molto meno indipendenti nell'esercizio della propria professione.

Internet: il "Lato B" delle testate
Una delle conseguenze più grottesche dell'eccitazione - con conseguente periodo latente - della new economy è stato lo sdoppiamento delle redazioni, per cui le testate con un importante "Lato B" online sono state clonate e duplicate, spesso perdendo completamente contatto tra di loro. Quasi sempre le redazioni online e offline della stessa testata sono fisicamente lontane e tendono a frequentarsi pochino (e ad amarsi ancora meno).
Nessuno si aspetta che ogni singolo redattore e/o collaboratore lavori su mezzi diversi, viceversa dovrebbe essere naturale che un caporedattore o un caposervizio sviluppi la capacità di capire cosa va su web e cosa su carta/etere/quel-che-è, imparando una volta per tutte che la crossmedialità della rete scombina tempi e modi della produzione dell'informazione (anche quando è puro intrattenimento), e che questo è un bene, non un male.

Il marketing
Questa clonazione, con conseguente duplicazione di funzioni, vale anche per le figure meno note dell'organizzazione editoriale: i publisher, o editori incaricati, o product manager, a seconda della dizione preferita. Il loro compito - semplificando al massimo - è quello di vendere più copie possibile (o avere più spettatori possibili) a prescindere dal contenuto editoriale, magari inventandosi anche dei format pubblicitari più appetibili dei semplici spazi tabellari. Sono i papà degli allegati, dei concorsi, dei calendari, delle telepromozioni and so on. Troppo spesso sono anche i papà dell'appiattimento, dell'inseguimento dei concorrenti e della mancanza di coraggio (sperimentazione = meno vendite nel brevissimo periodo = clienti spaventati e scontenti). In molte realtà il "responsabile" della progettazione di un sito è il publisher, non la redazione. Non ho ancora ben capito se funziona così anche per gli old media, ma non credo. Il publisher in molti casi fa da anello di congiunzione tra la redazione e la concessionaria.

La concessionaria
Una delle caratteristiche più simpatiche della forza vendita pubblicitaria - oltre al fatto che guadagnano molto di più di tutti - è che fanno SEMPRE finta di non ricordare/sapere/capire che l'informazione pubblicitaria dev'essere chiaramente distinta dall'informazione giornalistica (e se glielo ricordi vieni accolta da sguardi e discorsi di sincera costernazione di fronte a un simile dogma, decisamente difficile da gestire e molto, molto seccante).

La tecnologia
L'ultima categoria rilevante per capire di chi è la responsabilità dell'informazione così come ce la becchiamo è la tecnologia: i Sistemi. I Sistemi Informativi spesso sono il Nemico (a meno che non siano una realtà recente, nata per il web). Vengono dai gestionali e lì vorrebbero restare, la loro unica preoccupazione è la sicurezza (del posto di lavoro e dei dati, in quest'ordine) e la conservazione dello status quo. Non commettete l'errore di pensare che sia un problema solo per l'online: i Sistemi regnano sui computer che gli altri usano per lavorare, fanno finta di non capire perché un reporter dovrebbe avere un telefonino capace di far foto, decidono con cosa si impagina e chi può farlo, possono facilitare il lavoro (per esempio con archivi facili da ricercare) o rendertelo impossibile. Nell'unica casa editrice in cui ho lavorato da dipendente (poi non mi sono fatta più beccare) il mio primo compito era valutare gli instant messenger presenti sul mercato, ma era fuori discussione che potessi collegarmi a uno di loro dalla rete interna (l'unica di mia esperienza a impedire anche il collegamento a server di posta esterni, mentre pullulano i mail server interni irraggiungibili via pop dall'esterno).

L'ultima ruota del carro
Spero che adesso, quando ci si lamenta del ritardo con cui i "media" capiscono e utilizzano Internet, sia un po' più chiaro quanto poco questo dipende dai giornalisti, che hanno tante colpe, ma sono talmente tra l'incudine e il martello, soprattutto oggi, da avere davvero poche responsabilità per il declino morale e materiale del mondo dell'informazione. Declino che dipende quasi esclusivamente dalla sottomissione quasi completa alle pressioni delle lobby politiche (interne ed esterne) e pubblicitarie, trasformando i pochi giornalisti capaci di ribellarsi in eroi, mentre tutti gli altri tirano a campare, bestemmiando alle macchinette del caffè. Tornando all'inizio, tutto dipende dall'editore: se è un manager che capisce solo di finanza, è difficile che le cose possano cambiare in tempi brevi. Se è miope e poco coraggioso, difficile che investa sull'online, dove i numeri della pubblicità per ora sono ridicoli. L'unica concreta speranza è che, settore per settore, ci sia un coraggioso a fare da apripista - vedi alla voce New York Times - e che abbia successo, il che come sempre nel mondo del marketing obbliga tutti gli altri alla rincorsa.

PS: questo post vuole essere di pubblica utilità: generalizzazioni e semplificazioni sono necessarie, ovviamente ci sono eccezioni di tutti i tipi (e con alcune di queste ho il piacere di lavorare). Se riscontrate imprecisioni o dimenticanze, segnalatele e cerchiamo di migliorarlo insieme (al mio ritorno il 2 maggio). Se lavorate nei Sistemi Informativi di un editore, pentitevi ;-)

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19 febbraio 2007

Brodo di coltura

Chi legge i giornali online? Se fossero tutti come me, nessuno. Da quando sono atterrata in rete (1995/6) ho sempre trovato poco attraenti i media tradizionali e molto interessanti i media personali, anche quando pochi li consideravano tali (ma le recensioni di film su it.arti.cinema o su cinema-l degli anni '90 sono ancora molto più toste delle recensioni di film sui blog negli anni '10). Interessanti nel senso proprio della qualità informativa, non solo della loro natura "sociale", che a molti non interessa o addirittura inquieta.
Mai capito chi "leggeva" Virgilio, Italiaonline & co; mi sono appena scaldata con Punto Informatico e Repubblica.it, ma solo per le "breaking news". Neanche Clarence mi ha mai appassionato, perché era "web": ci ho messo anni a sentire il calore umano scorrere anche su protocollo http.

Ma non sono tutti come me (grazie al cielo, direte voi) e oggi i media tradizionali online hanno un pubblico numeroso, anche se forse poco esigente e stimolante. Perché?
Parlando del Corsera che va a caccia di traffico con metodi à la Cronaca Vera (sesso, soldi, sangue) vale la pena ricordare che tra il 2000 e il 2003 c'è stata la crisi del nascente mercato pubblicitario online, ammazzato dal mito del clicktrough e dall'eccesso di aspettative miracolanti (della morte della page view, invece, parliamo un'altra volta). Chi ha tenuto in vita i vari Libero & Co? Ma i banner porno, signori e signore. I banner con signorine che facevano su e giù, li avete dimenticati? I banner dei casinò. I banner dei dialer. L'iniziale pruderie per cui i banner e i contenuti venivano vagliati con ansia vaticana (almeno dove lavoravo io) ha DOVUTO lasciare il passo alla sopravvivenza.

Ma chi clicca su quei banner? Il pubblico passivo dei siti informativi italiani in quegli anni si è autoprofilato in base alla pubblicità, più che al contenuto (che comunque era si è dovuto adattare agli inserzionisti, come sempre). Chi ha un approccio attivo alla rete (chiamiamolo wreader) a mio parere ha abbandonato il web passivo qualche anno fa anche per questo motivo e oggi, abituato all'interazione e alla qualità delle fonti che si è scelto, fa fatica a tornare indietro e a ritrovare valore nelle testate tradizionali (anche quando c'è).

I siti che ai tempi non hanno accettato l'invasione porno+scommesse+dialer (tra cui, se non ricordo male, il Corsera) hanno dovuto fare i conti con un prosciugamento spaventoso di risorse e il crollo della reputazione in azienda, con la creazione di veri e propri ghetti professionali e di budget da cui i reparti "web" degli editori si stanno faticosamente liberando negli ultimi tempi, grazie al +42% dell'anno scorso (o pensate davvero che le decisioni in una casa editrice le prendano i giornalisti? I giornalisti hanno l'unico potere di dire "no", per questo lo fanno così spesso - non sempre a ragione, non sempre quando dovrebbero - e tendono a sembrare prepotenti).

La soluzione è sempre quella, far girare la girella: i contenuti, ricchi, seri, approfonditi, verificati. Anche su carta vincono le testate fatte bene, non quelle che assecondano i lettori. Il wreader è laico e veloce a tornare sui suoi passi, se ce n'è motivo: inseguendo il target porno+casino Corsera sta semplicemente accettando un'escalation che dà ragione a chi in Via Solferino ha sempre considerato di serie B i lettori (e i budget pubblicitari) del web.

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