I link dei maestrini su del.icio.us (tieni il puntatore sul link e compare la spiega)

16 febbraio 2009

D'Alia: basta indignarsi?

La voce del popolo dice "questi sono pazzi". Per quanto possa condividere lo sdegno, non sono pazzi: è vero che non sanno bene quello che fanno, ma secondo me ci provano pure.

A ottenere visibilità individuale sui media, a dare l'impressione che stanno facendo qualcosa, a trasmettere a un elettorato che non usa la Rete - ed è straordinarmente coincidente con la loro base - una sensazione di sicurezza, di difesa da vaghe e non specifiche minacce esterne che non possono capire (l'immigrazione, internet, la pedofilia, poco cambia: le emergenze, che siano reali o fittizie, sono tutte utili).

Da una parte non è che possiamo andare in fibrillazione ogni volta che un qualunque membro della classe politica italiana, totalmente inadeguata a legiferare su queste questioni, prova a dare un giro di vite. Finora non se ne è mai fatto niente. Dall'altra parte, probabilmente non ce la possono neanche fare, probabilmente questo provvedimento non è applicabile nel mondo reale (e qui Stefano spiega anche il perché).


Ma forse sarebbe bene che lo fosse. Sarebbe utile che questa volta ci provassero veramente a censurare la Rete, per 3 ragioni:

- Perché l'elettore del centrodestra potrebbe finalmente provare sulla propria pelle, invece che su quella altrui, che cos'è un governo autoritario e censorio. E capisse cosa significa nella pratica avere i (post)fascisti al governo.

- Perché un'azione come l'oscuramento di Facebook o YouTube avrebbe un effetto negativo, più di quanto si aspettino, sull'opinione pubblica. E potrebbe aiutare la produzione di anticorpi culturali e tecologici (penso a una salutare diffusione di strumenti come open proxy, open DNS, TOR, crittografia, che probabilmente ci farebbe solo bene).

- Perché è ora che da questa parte ci si svegli. Non è tollerabile che la difesa delle libertà di Rete sia affidata ai blog di Grillo e ai DiPietro (che non essendo se non sbaglio un libertario, mi pare ne stia facendo più che altro una questione di opportunità politica personale).

E' ora che nel centrosinistra ci si accorga che quello che serve qui è un organismo stutturato di lobbying (o meglio, anti-lobbying) che possa operare un'azione di informazione, formazione, battaglia legale e mediatica a difesa delle libertà in Rete.
Negli States hanno l'EFF, organizzazione senza fini di lucro che fa esattamente questo: battaglie legali (e le vincono praticamente tutte) consulenza al sistema politico, pressione, informazione, formazione.

Bisogna rendersi conto che è più che mai urgente un'azione strutturata e incisiva che difenda tutte le libertà individuali che possono essere messe in discussione da un uso spregiudicato e autoritario delle nuove tecnologie, e che sia in grado di fare azione legale, ma anche e soprattutto consulenza e informazione a quella che è probabilente la classe politica meno adeguata d'Europa a legiferare su questioni così importanti.

Quanto ci vorrà a chi di dovere (diciamolo pure: al più grande partito del centrosinistra) a capire che le battaglie che si fanno oggi sulle libertà di Rete sono fondamentali non solo per la libertà e la democrazia oggi, ma pagheranno in termini elettorali domani?

Riguardo al "che fare", Quintarelli invita a scrivere ai propri parlamentari di riferimento per sottolineare come questo provvedimento sia inutile, stupido e medievale. Sono indeciso se farlo oppure sperare che ci provino davvero. Intanto, comincio a smanettare con PGP e TOR.

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13 gennaio 2009

Regala Little Brother di Cory Doctorow

Hai un fratellino/sorellina teenager? Una figlia, nipote, cugina a cui hai voglia di regalare un libro? Ha tra i 14 e i 20 anni (ma anche di più) ed è appassionata di Internet? Vuoi regalarle qualcosa che sia un romanzo divertente da leggere ma anche utile, cioè le insegni le filosofie importanti alla base di Internet, dell'open source e della libertà di informazione ed espressione senza essere noiosamente educativo e paternalista, ma anzi raccontando una storia divertente e appassionante?

Ce l'ho. Little Brother di Cory Doctorow è il libro più utile da regalare oggi a un/a ragazzino/a (che sappia l'inglese, visto che non è tradotto). Caldamente consigliato dai maestrini.

Inoltre, è liberamente scaricabile in formato digitale, god bless him.

E se qualcuno capace di farlo avesse voglia di offrirsi, ci sarebbe anche da tradurlo (professionalmente) in versione digitale italiana :-)

Qui lo compri su play.com a 5,49€ incluse spese di spedizione.

Qui lo scarichi gratis in digitale.

UPDATE

Content, la raccolta di saggi, articoli e speech sui social media e sul copyright è una lettura imprescindibile non solo per chi lavori su e con Internet, ma per chiunque desideri capire le questioni fondamentali per la libertà d'espressione e di informazione nei prossimi anni.

Se devi leggere un solo saggio quest'anno Se ti occupi di Internet, di editoria o in genere di distribuzione di contenuti coperti da proprietà intellettuale, Content è il libro che devi leggere. E' distribuito totalmente free, ma compralo su Play.com o su Amazon perché il buon Doctorow ha diritto anche lui a essere compensato per il suo lavoro.

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07 agosto 2008

Lasciatemi chattare - col cellulare in mano

Dice: ma che connessione e cellulare e modem UMTS, almeno al mare liberati da Internet e goditi la vacanza!
Vero, che lo dice? Lo dice spesso. E se non lo dice lo pensa, dite la verità.

Che Internet = lavoro, e quindi connessione = rovinarsi le vacanze, spesso è la risposta che è dentro di te. Epperò è sbajata.

Paradossalmente, l'associazione online=lavorare è molto più sentita da chi con Internet ci lavora solo incidentalmente, che dai professionisti del settore che ci passano tutta la giornata. Internet è percepita come un peso lavorativo da chi non la sa e/o non la desidera usare in modo sociale. Anche la penna e il telefono sono strumenti di lavoro, ma nessuno si sogna di bannare penne o telefoni dalle sue vacanze.

Insomma, quello che voglio dire è che se la connessione, insieme al cellulare, mi permette di:

- leggere le news in tempo reale da fonti di tutto il mondo
- vedere cosa stanno facendo i miei amici e chattarci se ho tempo libero (non persone a caso, i miei amici: gente a cui voglio bene e con cui vorrei anche passare del tempo insieme, ma ahimé non posso perché abitano in altre città)
- scrivere e leggere le mail in qualunque posto mi trovi (ancora una volta, attenzione al luogo comune infondato che associa l'email al lavoro)
- leggere le prime pagine dei quotidiani e le riviste più note senza doverle comprare e portare dietro
- leggere i classici che mi son perso in gioventù nei momenti morti, senza dovermeli portare dietro
- trasmettere in diretta audio e video da qualunque punto del pianeta
- riconoscere qualunque brano musicale al volo, e persino scaricarlo

Soprattutto in un periodo in cui ho un sacco di tempo libero potenzialmente noioso come in vacanza, perché dovrei rinunciarci?

Chi l'ha detto che Internet necessariamente ruba il tempo a cose più importanti? Da dove viene fuori - se non da luoghi comuni indimostrabili - quest'idea che è l'online di per sé a essere alienante? Che stare su Internet fa male? Che è meglio frequentare persone noiose nella "vita reale" che persone interessanti online? Che gli atomi sono qualitativamente meglio dei bit? Che quello che conta non è la qualità dei contenuti ma un'ipotetica qualità intrinseca del medium?

Chiedilo alle centinaia di persone - blogger e non - che in queste settimane, 15 anni dopo le chat e i newsgroup - stanno riscoprendo le conversazioni paritarie online in tempo (quasi) reale su Friendfeed.

Ancora non mi credi? Bene, ci vediamo qui tra due anni, quando il Jesus Phone sarà diventato lo strumento più indispensabile della tua giornata, sia lavorativamente che socialmente.

(Sei ancora lì a pensare "oddio, la schiavitù"? Allora forse non hai speranze: immigrante digitale a vita :)

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23 dicembre 2007

Just a metaphor

- How many slums will we bulldoze to build the Information Superhighway?
- The Information Superhighway is just a fucking metaphor, give me a break!
- All discourse is built from metaphors.
- That's no excuse for using bad metaphors.
(Cryptonomicon - Neal Stephenson)

Diciamo che lo stesso vale per il Web 2.0? Che le parole non sono gli oggetti che tentano di definire? Che 2.0 è una bad metaphor per Web partecipativo, e che Internet era già partecipativa prima che O'Reillly si inventasse un'etichetta marketizzabile?

E se accettiamo questo, potremmo magari smettere di accanirci contro quella che è solo un'etichetta di comodo inventata dai consulenti per vendere consulenza, e discutere dell'oggetto e non della parola, ovvero quali sono i comportamenti migliori perché tutti (aziende comprese, per chi ci tiene) si comportino in modo da rendere il Web sempre più partecipativo, per abbattere le barriere all'ingresso e per fare emergere i contenuti di qualità?
So che la pace nel mondo è al di sopra delle tue forze, ma pensi almeno di potermi portare questo, Babbo Natale?

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26 ottobre 2007

Information R/Evolution

Da Mike Wesch, l'antropologo culturale che ci aveva già dato The Machine is US(ing) US, un nuovo video su come la Rete e la transizione dai supporti analogici a quelli digitali abbia cambiato l'informazione, il modo in cui la produciamo, la consumiamo e la trasmettiamo. Definizioni di informazione, la sua liberazione dal mondo fisico, l'affrancamento dalle ontologie, l'ipertesto, il social bookmarking, le folksonomie. Ancora una volta in uno stile brillante e originale. Anche questo, da vedere e diffondere.


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22 marzo 2007

Let the conversation begin

Scrivere di Internet per un mensile non è per niente facile, soprattutto se è un mensile che non si accontenta di parlare di cose già molto sentite. Mi fa piacere che la competizione e la competenza in questo campo si sta facendo davvero serrata: L'Espresso e D di Repubblica mi ciulano tutte le idee (hanno un mese di vantaggio) e l'articolo qui sotto non uscirà; lo pubblico anche se per l'"audience" dei blog è veramente basic.
"I'm not just starting a campaign, I'm beginning a conversation. With you." "Non sto solo dando il via alla mia campagna elettorale, ma a una conversazione. Con te". Con queste parole Hillary Rodham Clinton ha ufficializzato la sua corsa per le primarie: non in televisione, non con un comizio, ma con un video trasmesso sul suo sito Internet e prontamente ripreso da YouTube e dai blogger di tutto il mondo. Sarkozy, il candidato premier della destra francese, ha scelto come consulente di fiducia Loic Le Meur, uno dei blogger più famosi e più abili nello sfruttare la libertà di movimento e di espressione dei blog per consolidare la sua reputazione anche offline. La sua rivale, Ségolène Royal, ha concretizzato online la sua proposta di una democrazia partecipativa: il forum sul sito "Désirs d'avenir" vuole essere il punto d'incontro e di confronto tra le sue proposte e quelle degli elettori.

Otto anni fa un gruppo di pubblicitari e uomini d'azienda ha rivoluzionato il marketing degli anni a venire dicendo "I mercati sono conversazioni", l'equivalente del terzo millennio de "Il medium è il messaggio" di Marshall McLuhan. La "conversazione" è quello che differenzia Internet da tutti gli altri mezzi: ogni giorno milioni di persone lo usano per socializzare e chiacchierare oltre che per informarsi.
Non del tutto inaspettatamente i politici hanno capito e imparato le regole del gioco prima delle aziende: al grido di "le campagne elettorali sono conversazioni" hanno iniziato a usare la rete come megafono per la propaganda.

Se Internet è una grande conversazione a cui tutti possono partecipare, non è detto però che questa possibilità sia una garanzia di successo. Quando Le Meur a Parigi ha imposto con un escamotage la presenza di Sarkozy a Le web3, un convegno da lui organizzato, è stato sommerso da critiche per lo sfruttamento a fini elettorali di un momento di incontro e confronto professionale (a pagamento). Sarkozy si è concesso con un comizio più che tradizionale, senza approfittare dell'occasione di "conversare" con gli esperti presenti: niente domande, nessuno spunto di interesse per la platea internazionale.
A maggio vedremo se e quanto l'abilità nell'uso di Internet avrà pesato sulle elezioni francesi, ma soprattutto nel lungo periodo scopriremo quanto il desiderio di "dialogo" rappresenti una vera evoluzione del modo di fare politica o un semplice strumento di propaganda elettorale. In Italia Paolo Gentiloni, blogger da due anni, ha continuato ad aggiornare il suo blog anche dopo essere diventato Ministro: Ségolène Royal continuerà a discutere la politica governativa online anche in caso di vittoria?
Nell'attesa, emerge un chiaro segnale: Internet è ormai parte integrante della vita quotidiana di chi ha qualcosa da dire, non più solo sfogo ludico di pochi (se mai lo è stato), ma ambito e contesto per qualunque tipo di discussione tra pari.

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15 marzo 2007

Vicinati

Non so se avete presente quella sensazione, un misto di rosico e di gratitudine, tipica di quando leggi qualcosa che esprime alla perfezione ciò che da tempo pensavi di dire, ma con una chiarezza, una competenza e una sicurezza che tu di solito ti sogni.
A me sta succedendo con La parte abitata della rete di Sergio Maistrello, che ringrazio per il gran lavoro fatto e per il notevole equilibrio tra entusiasmo e tranquillità che dovrebbe rendere facile digerire questa deliziosa "guida turistica" anche a chi ha pregiudizi o paure.

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