Ora del decesso
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Un diario dove cazzeggiamo annotando onori e orrori della vita su internet (e non solo), dal nostro osservatorio privilegiato di maestrini per caso.
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In questo blog ho sempre raccontato tanto di me e pochissimo della mia vita. Scrivere qui serve soprattutto a narrarmi quel che è successo in modo che acquisti un senso, forse l'unica cosa che ho imparato a fare per salvarmi. Qualunque vita può essere narrata e compresa a posteriori, anche se a volte succedono cose che richiedono la tua attenzione qui e ora, anzi, talmente impellenti che non c'è spazio per altro, tantomeno per scriverne.
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Il sole come lama, tu che mi affetti di luce e mi svolti, la sabbia fredda di pietroline, scalzi verso un mare che curvetta e inchina e ammicca. Della Sardegna quel che mi resta delle troppe volte che mi hanno amata è la terra, terra da pascolo, terra che si frantuma in sabbia, terra da masticare con le ruote, terra che mi piego a prendere in bocca, sfrenata di chilometri difficili da interpretare, i chilometri che percorri per arrivare a baciare quel sole che entra dalla finestra e mi percorre e fuori è il Bastione, sempre lontanissimo il mare. Terra percorsa in bici alleggerite di qualunque cosa impedisse di correre verso le nostre opposte fini, terra sudata a piedi, salite e mai arrivi, buchi e pietre e scogli e come unico premio l'acqua, a lavar ferite e umori. Terra di carni aspre e vini pesanti e notti poco adatte al sonno, notti di grida e risvegli continui a trovarti. Non si dovrebbe arrivare in aereo in Sardegna, mai. La fretta uccide, piango e guardo fuori mentre troppo veloce arrivo e troppo veloce riparto e rallentare diventa la regola che non sappiamo giocare. Laminati dal vento, dispersi tra parole, le uniche vere proprietà che ci restano socialmente consentite.
Verso la fine del 1998 la mia vita professionale è cambiata completamente: ho abbandonato il mio lavoro di copywriter freelance per fare una cosa che nessuno sapeva cos'era, tanto meno io, cioè la community manager (eeeh?) di Atlantide.it. Il resto è abbastanza storia.
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Questa sei tu, tu e quel sapone buonissimo che hai rubato in albergo e che non usi mai per non consumarlo. Aprilo, butta la plastichina, mettilo nel portasapone. Usalo anche nella doccia, sfiniscilo. Tutto quello che hai tenuto da parte per un momento speciale, usalo o buttalo. Mangia il boccone più buono per primo. Non bere il vino solo perché hai il bicchiere pieno.
L'uomo intero, olistico, panico, l'uomo che sapeva amare al punto da non poter fare altro che amarsi e amarmi e amarci, l'uomo che o è sì o è no, l'uomo che la realtà non esiste, ma non vedi che non sei qui, pillola rossa, pillola blu, fa la magia tutto quel che vuoi tu.
Credente. "dai, che alla fine c'è una Grande Ricompensa"
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La vivibilità di una strada è inversamente proporzionale al suo tasso di Pascolamento. Per Pascolamento intendiamo quella particolare situazione in cui una o più persone ti camminano lentamente davanti, ondeggiando a ritmo inverso a te per cui se cerchi di superarli ci sbatti contro e sembri una pazza. Più strade pascolate, meno vivibile la città. A Roma pascolano anche i motorini, a Torino pascolano anche se si è sottozero, a Firenze pascolano in comitive, a Milano (escludendo Corso Buenos Aires e Via Torino) si sopravvive, ma non a dicembre.
Sono un po' bastian contrario, ma non sempre, sole per le cose importanti. Tipo quando avevo 8 anni e mia zia andava matta per i Bee Gees e io, serissima, "ma ho letto che vendono molto solo in Italia". In un lampo di odiosa preveggenza avevo scoperto che se dici qualcosa con sufficiente sicumera citar la fonte non serve a molto, anche perché nell'era dei mass media, fonte? Basta dire che l'hai letto e ancora molti ti credono sulla parola. Non sono mai così convincente come quando mento, non è colpa mia, anzi, è un serio problema perchè quando dico la verità mi viene uno sguardo da scema.
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Io al liceo avevo due set di amiche, le Belle e le Troie. Ovviamente i due insiemi si sovrapponevano, sia come legami sia come caratteristiche: la distinzione era dovuta più che altro al posizionamento sociale, alla durata dei fidanzamenti e alla capacità di suscitare amore oltre che ormone. Incrociando queste variabili, io ero nettamente la più Troia e la meno Bella (considerandone altri, non ero la più Troia, ma restavo sempre la meno Bella).
Forse questa settimana io e le Belle riusciamo a passare qualche minuto insieme dopo una ventina d'anni. Io resto l'elemento sparigliato: un solo marito e nessun figlio.
Una è la mia migliore amica dai tempi del catechismo, quando però non ci parlavamo perché lei era così bella che mi metteva soggezione e le mie altre amichette dicevano di non fidarmi. Nell'ultimo anno ci siamo ritrovate quasi come ai tempi in cui io passavo più tempo come quinta figlia a casa sua che dai miei, un rapporto non più di teste sullo stesso cuscino ma di sms e fugaci incontri clandestini quando lei capita a Milano o io a Roma.
L'altra mi ha stanato su Facebook ed erano tanti anni che avevo voglia di quei nostri pomeriggi di cazzeggio a pucciar nocciole nella Nutella, ridendo perché io riuscivo a tirar fuori il suo lato da teppa dietro l'apparenza di un'eleganza disturbante.
L'ultima era il mio alter ego di successo, alta come me ma bruna, l'eterno amore di uno che voleva tutte tranne me, lei corteggiatissima io no, ma sempre così disposte a provare tutto da provare a scambiarci anche gli uomini (cioè veramente io). Daniela che ha sofferto tanto e tanto goduto ma quasi come hobby, non per togliere importanza alle sue storie ma per attribuirle questa capacità soprannaturale di vivere tutto così intensamente da abbagliare.
Tra di loro non sono mai state veramente amiche, un po' per competizione un po' perché l'elemento in comune ero io, che come sempre poi nella mia vita ho fatto da catalizzatore delle loro stranezze, invisibili a quasi tutti gli altri. Le ho amate di testa, di pancia e di carne e le amo ancora, al punto che vederle tutte insieme, forse lascio perdere. E' anche per loro (e certo non solo loro) che il resto della mia vita l'ho dedicato a fare amicizia con gli uomini, che dopo di loro di donne così interessanti ne ho incontrate assai poche in vent'anni.
Maestrale. Fa male tutto.
La maglietta bianca di Max Mara, quella proprio candida, color neve, che si allaccia dietro al collo. Fa malissimo. Sciogliere le scarpe di corda è impossibile.
Il vento fresco, la luce radente, le ombre che si allungano.
Le principali città italiane in ordine alfabetico dalla C alla U. Moltissime parole che prima non usavo. Cercare la carta d'identità, avere credito, svegliarsi e non trovarti e meravigliarsene come di una morte.
Slegarsi e riannodarsi i capelli. Non dormire e non avere sonno, mai.
La pelle, fa male. Se non ti è mai capitato non puoi capire. Brucia da sotto, come se ci fosse un veleno che scorre. Acqua purissima, aria in vena.
Vorresti poter svuotare l'Ipod in un cestino vero, vorresti poter avere delle cassette per tirar fuori il nastro e farne un cappio, maledici lo shuffle che pare ispirato da una potenza nemica.
Mordicchiarsi il braccio aiuta. Mordere forte fa stare meglio, ma spaventa gli altri. Mi lecco l'ascella come un gattino al sole.
Posso stare ore al sole a leggere, questo sì.
Da quando ti conosco corro veloce, questo sì.
Prendo mille decisioni al minuto e le disattendo tutte.
Ridere so ancora ridere, amore mio.
Mi sdraio su quel letto e sono impenetrabile, sono la ragazzina che spegneva la sveglia mille volte, non ancora me neanche nel nome, non certo insonne. Mi sdraio su quel letto e ho dodici anni e tu non te ne accorgi e non capisci che se non chiudi la porta io non esisto, perché a dodici anni serve una porta chiusa per avere un mondo.
Le mie giornate hanno il ritmo e il respiro del libro che sto leggendo. Se è un libro lento seguirò la scia, se non mi piace sarò intrattabile, se è impegnativo mi lascerà qualche spazio in più per le persone. Io più che vivere leggo, nel senso che sono più me stessa con un libro in mano che qualunque altra cosa faccia.
Non so se ti ho mai detto che Amica è ormai da anni il mio giornale preferito. Per mille motivi, due in particolare: è forse l'unico che riesce a mantenere un'uniformità di tono e di riferimenti pressochè assoluta e leggere Daniela Bianchini quando parla di moda è un piacere prima di tutto letterario.
Il contenimento è un'estetica al servizio di una dama, vale per sé prima che per chiunque, eppure se state al posto vostro - ovvero quello che vi siete assegnate - anche gli altri lo faranno, uomini e altri adorati animali chiederanno il permesso per varcare la vostra soglia.
Come sospettavo, non essendo in grado di fare sacrifici perché non so esattamente quali, comincio a pensare che tornerò molluscamente sui miei passi, anche perché:
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Sono una persona relativamente fortunata: quello che mi riesce mi riesce bene e al primo colpo e senza far fatica. Ho un SuperIo inflessibile e un inconscio geniale: il rovescio della medaglia è che la Mafe conscia è una fragile molliccia merda senza spina dorsale. Se il SuperIo non ritiene di dover intervenire e l'inconscio si annoia, non ho nessun controllo sulla mia vita. Questo vuol dire che quel che non mi riesce, non mi riesce: non ho forza di volontà, non riesco ad applicarmi, detesto far fatica o privarmi di qualcosa.
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Più che viaggiare compio sopralluoghi una tantum. Mi piace arrivare lentissima in posti dove c'è più cielo che anime, posti limpidi, dove la luce accarezza e i crampi diminuiscono. Mi lascio andare a fantasie riposanti su quello che davvero potrei fare in quei posti se avessi più tempo, sulle infinite vite che mi si aprirebbero se mi fermassi lì, sui diversi passati possibili se fossi nata lì.
Il punto è che io praticamente in casa non mangio più pasta, quindi neanche mio marito, che poveretto ogni tanto se la fa da solo mentre io sbuffo perché sporca un sacco di pentole (e poi gliene mangio metà dal piatto, che una fa tanti sacrifici e poi vive col diavolo tentatore).
Soffritto di aglio, prezzemolo e peperoncino, 5/6 pomodorini, una ventina di fave sgusciate. Togli dal fuoco, aggiungi la bottarga tagliata a fette non sottilissime, copri. Cuoci le orecchiette (meglio se integrali che assorbono meglio, ovviamente fresche), aggiungi un po' di acqua della cottura al sugo, rimetti su a fuoco lento, scoli le orecchiette (non asciutte asciutte), le versi nella pentola col sugo, fai saltare condendo. Mangi e godi, accompagnate da un Negramaro o da un Primitivo.
Esemplare particolarmente significativo, dal tipico avvio ampio e mediamente gradevole ma con immediata escalation ondulatorio-progressiva tipica dei reperti più rari. Alla penetrazione - erezione completamente raggiunta, umori limpidi, scorrimento fluido - nella posizione nota come "cucchiaio" segue in rapida successione rallentamento paradossale della velocità, rotazioni alternate del busto, urla, follia, scene di panico, epinefrina e successiva crisi di risa, pianto, risa, schiaffone, sangue dal naso, altro schiaffone, coma cerebrale, fase REM.
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Quando qualcuno dice che Natale è per i bambini a me viene sempre in mente che per me Natale aveva senso finché era viva mia nonna. E' come se avessi avuto solo 30 Natali a disposizione: all'ultimo lei era già riottosa e ostinata e "incazzusa", come si dice a Taranto, però tutti noi nipoti (otto) le avevamo regalato un televisore nuovo, che il suo aveva una specie di patina gialla di filtri impazziti, e per un pomeriggio sembrava la solita nonna di sempre. Per lei Natale era quel giorno in cui si mangiava tutti in salone (i bambini nel tavolo a parte), con i piatti di porcellana e le posate d'argento: il suo albero era sempre il più bello di tutti, a noi nipoti grandi regalava dei soldi però appesi all'albero, ai generi sempre un regalo uguale, quattro camicie, quattro bottiglie di vino, quattro cravatte, quattro. Io arrivavo presto e lei aveva già cucinato tutto, mi ha insegnato il trucco di svegliarmi all'alba per far le cose pallose e poi godersi la giornata, io arrivavo presto e guardavo i pacchetti e grattuggiavo il parmigiano per i tortellini, che dovevano cuocere rasi di brodo, mai annacquati, per carità.
Un po' di tempo fa avevo trovato il coraggio di raccontare qui una serie di violenze grandi e piccole subite dagli uomini nel corso degli anni. Il coming out vero e proprio era sulla mia incapacità di denunciare, anzi, ridiciamola tutta: sulla mia tendenza a vergognarmi e a sentirmi in colpa come se la colpa fosse mia.
Facciamo qualcosa: innamoriamoci di uomini gentili. Mandiamo in bianco i macho. A un metaforico ballo della scuola andiamoci con Peter Parker, smettiamola di bagnarci solo se arriva SpiderMan. Basta con questo mito del cinismo, dell’uomo duro, del “nondevechiederemai”. Quelli che non sanno chiedere spesso prendono.
Facciamo qualcosa: educhiamo uomini gentili. Smettiamola di insegnare ai nostri figli che possono divertirsi con le sgualdrine e sposare le brave ragazze. Cerchiamo di insegnare loro che rispettare le donne è parte del diventare adulti. Non giustifichiamo i nostri uomini (figli, fratelli, amici) quando non rispettano le donne, fosse anche solo scomparire la mattina dopo.
Facciamo qualcosa: impariamo a stare da sole. Una donna che se la sa cavare da sola non ci pensa due volte a mandare al tappeto chi la stupra, la usa, la maltratta, la picchia. Soprattutto se abbiamo dei figli, basta essere disposte a tutto pur di avere un uomo nel letto.
Facciamo qualcosa: proteggiamo le nostre figlie, sorelle, amiche, ma non coltivando l’odio per il maschio in quanto tale. Aiutiamoci a proteggerci dagli uomini sbagliati, non da tutti gli uomini, e a capire la differenza.
Poi serve tutto il resto, certo, leggi, strutture, pene giuste, assistenza, meno machismo, modelli culturali diversi. Pero’ se non inizi tu a migliorare il mondo, chi?
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Tu che mi guardi con pena profonda mentre cammino digitando sulla tastiera del telefonino, non far confusione: se non avessi il telefonino, dovrei essere seduta a una scrivania.
Se hai più di un neurone non c'è afrodisiaco più devastante di essere capita al volo.
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Sì, sì, possiamo. Possiamo scendere nel buio e metterci le mani addosso, quando vuoi. Però mi devi pagare.
Etichette: mafeverso, mib, nordest, stateofthenet, trieste, udine
Un po' di tempo fa avevo trovato il coraggio di raccontare qui una serie di violenze grandi e piccole subite dagli uomini nel corso degli anni. Il coming out vero e proprio era sulla mia incapacità di denunciare, anzi, ridiciamola tutta: sulla mia tendenza a vergognarmi e a sentirmi in colpa come se la colpa fosse mia.
Facciamo qualcosa: innamoriamoci di uomini gentili. Mandiamo in bianco i macho. A un metaforico ballo della scuola andiamoci con Peter Parker, smettiamola di bagnarci solo se arriva SpiderMan. Basta con questo mito del cinismo, dell’uomo duro, del “nondevechiederemai”. Quelli che non sanno chiedere spesso prendono.
Facciamo qualcosa: educhiamo uomini gentili. Smettiamola di insegnare ai nostri figli che possono divertirsi con le sgualdrine e sposare le brave ragazze. Cerchiamo di insegnare loro che rispettare le donne è parte del diventare adulti. Non giustifichiamo i nostri uomini (figli, fratelli, amici) quando non rispettano le donne, fosse anche solo scomparire la mattina dopo.
Facciamo qualcosa: impariamo a stare da sole. Una donna che se la sa cavare da sola non ci pensa due volte a mandare al tappeto chi la stupra, la usa, la maltratta, la picchia. Soprattutto se abbiamo dei figli, basta essere disposte a tutto pur di avere un uomo nel letto.
Facciamo qualcosa: proteggiamo le nostre figlie, sorelle, amiche, ma non coltivando l’odio per il maschio in quanto tale. Aiutiamoci a proteggerci dagli uomini sbagliati, non da tutti gli uomini, e a capire la differenza.
Poi serve tutto il resto, certo, leggi, strutture, pene giuste, assistenza, meno machismo, modelli culturali diversi. Pero’ se non inizi tu a migliorare il mondo, chi?
Sullo Strip:
You guys, do you wanna marry? Come on!
Etichette: digital marketing, Las Vegas, mafeverso, viaggi
Ma quando inizia precisamente un viaggio? Qual è il momento in cui dici a te stessa "ok, sono via, si diverte, in senso letterale"? A volte è la chiusura delle valige. Puff, le chiudi, controlli e tutto il resto scompare. Altre è il primo passo, che per me tipicamente è un percorso abituale, Garibaldi-Cadorna o Garilbaldi-Bovisa per andare a prendere il passante. Questa volta è stato quando in aereo sono stata svegliata da delle luci assolutamente incongrue durante un volo talmente tranquillo da permettermi di dimenticare di tirar giù la mascherina del finestrino. Pochi minuti dopo aver visto le luci ho pensato di stare per vedere anche la luce eterna, perché o stavamo per precipitare o la manovra di avvicinamento a Las Vegas è stata sceneggiata da Steven Spielberg: l'aereo costeggia per diversi minuti lo Strip a bassissima quota, vira sopra l'MGM Grand e pare inabissarsi nel niente. Non siamo precipitati, direi, perché nei sei giorni seguenti, preso possesso di un ovvio SUV rosso, ci siamo fatti 2000 miglia di periplo dell'Indian Country, cioè le terre in comune a Arizona, Utah, Colorado e New Mexico che sono state in parte "restituite" ai nativi americani. Come sempre accade, l'abbiamo scoperto dopo: il nostro itinerario era un assai più banale Las Vegas - Grand Canyon - Santa Fe - Monument Valley - Bryce Canyon - Las Vegas. Poi ho trovato la cartina perfetta (adorando i viaggi on the road, non posso che amare le carte geografiche, pur odiando le mappe delle città) e la cartina perfetta si chiama "Indian Country", ma questa è un'altra storia. Perché tornare a Las Vegas dopo sei giorni di deserto, montagna, cultura, storia e silenzio assoluto fa uno strano effetto, straniante, snervante, disorientate. La conseguenza principale è che mi sono scoperta innamorata di questa città improbabile, disturbante, fuori luogo, offensiva, materialista eppure diretta, sincera, illuminata da una luce perfetta, a tratti buffa, il simbolo assoluto del capitalismo fuori controllo e della capacità tutta umana di trasformare (e distruggere) l'ambiente a ogni costo, nel bene e nel male.
In questi giorni di vacanza a Taranto, mia città natale, dormo in quella che era la casa del mio nonno paterno, in un letto che era dei miei nonni materni. In realtà questa è stata la mia prima casa, perché i miei genitori quando si sono sposati non avevano ancora un appartamento loro e abbiamo vissuto tutti qui finché è nato mio fratello, che ha 18 mesi
Quest'anno ho imparato tre cose su di me e sui simpatici ambienti chiamati aziende.
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A un certo punto ci siamo scambiati i ruoli.
Etichette: fratello, mafeverso, matrimonio, ricordi
Perché Twitter rimanga un salvavita per i tempi morti ho deciso di rimuovere (a volte a malincuore) chi:
Faccio fatica a prendere sul serio chi ci riesce benissimo da solo.
Etichette: bicicletta, insight, mafeverso, sabato
Io e mio fratello abbiamo un particolare talento per creare il massimo disordine possibile a partire da pochissimi elementi e in un lasso di tempo risibile. Quando vado a trovarlo nel giro di pochi minuti tutta la sua roba è sepolta dalla mia: forse dovremmo creare delle installazioni e spacciarle per arte moderna.
Quando in una serie tv o in un film c'è un personaggio psicotico - tipo la mamma di Abby in ER o la figlia di Erin Driscoll in 24 - la caratterizzazione del personaggio ha sempre a che fare con il rifiuto di prendere le medicine che dovrebbero renderlo "normale". Lo spettatore assennato scuote la testa, si immedesima coi parenti, inveisce contro gli sceneggiatori e non capisce perché diamine questo qui non si vuole curare. Io sì.
Etichette: mafeverso, mestruazioni for dummies, normalità, pillola
Pessima prestazione (38 minuti), grande divertimento nonostante il raffreddore (prima pausa), le mestruazioni (seconda pausa) e la tosse (terza pausa). Ecco la playlist:
Etichette: mafeverso, playlist, running, terry fox run
Dal 1992 al 1996 sono stata *solo* un copywriter. Spiegare cosa facevo per vivere non era facile, ma quantomeno era un one-shot: "scrivo testi che cercano di venderti cose". Alla peggio, bastava prendere un giornale, aprire a caso, trovare un annuncio pubblicitario e dire "vedi queste parole? qualcuno le scrive, a volte io".
Etichette: etica, mafeverso, pippone, social media, trasparenza
Domenica a Milano c'è la Terry Fox Run, una 5km non agonistica per raccogliere fondi per la ricerca sul cancro.
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Pur viaggiando spedita verso la santità ci sono alcune cose che ancora adesso mi scuotono i nervi trasformandomi in Aletto:
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No, non voglio fare la doccia adesso (mi piace il sale sulla pelle da quando sono piccola)
Ingredienti per una perfetta Serata Ignorante:
Credo che liberarsi delle generalizzazioni sbagliate fatte da bambina sia la parte più difficile del diventare adulti, sia nel merito sia come atteggiamento. Credere ciecamente a ciò che dice l'Autorità e pensare che tutti vivano come te (pensino come te, sappiano quello che sai tu) è a mio avviso il segnale più inquietante di una società adolescente, e non nel senso che continua a spassarsela.
Etichette: Carlo Giuliani, g8, mafeverso, memoria
Dopo aver cazzeggiato tutto il giorno su quante cose importanti ero riuscita a fare di venerdì 13 senza troppi danni, all'ingresso della Ca' du Luasso a Lavagna vedo la locandina "Venerdì sera concerto di Jobba" e penso, tutta contenta, "grazie al cielo non è venerdì", entro e mi siedo davanti al palco mentre lui canta a squarciagola quella che sembra una versione slow di Maledetta Primavera.
Etichette: disorientamento, mafeverso
Succedono cose. Una borsa di Margiela di vernice nera (new collection). Rispondo a domande. Domande interessanti. Una gonna blu marezzata di Miu Miu (in saldo al 50%). Penso e non su commissione (cerco camicette fresche e chiare). Scaletto libri e sogno il tempo per scriverli (sono in dubbio se prendere la Peggy Flora al 50%). So cosa sta succedendo ma non se ci voglio restare (sicurissima di non aver bisogno di un cappello?). Mi lascio affascinare. A volte scodinzolo.
La parola di maggio è - ahimè - "lag".
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Oggi (sabato) alle 13:05 va in onda la sottoscritta intervistata da Tony Siino per http (Radio Time). Potete ascoltarla anche domenica alle 19:05.
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Solo un salutino, chè il cuore (e l'orologio) sono ancora tra Lake Shore Drive e Oak Park, magari riflessi nel Bean (ci vorrebbe un Bean in ogni angolo). Adesso nanna e domani spero di svegliarmi con le energie per andare a testare Nike+ al Parco, e poi sistemare le foto, e scrivere qualcosa.
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Con indicibili sforzi negli anni sono riuscita a capire di che misura comprare i reggiseni, ma comunque quelle due volte all'anno che devo procurarmene di nuovi passo sempre dei brutti momenti, con un nervoso che mi rimane addosso prima e dopo per giorni.
Giusto per rendermi ridicola a un pubblico progressivamente più ampio, domani (sabato) eccomi in onda al tg de La7, brevemente intervistata sul futuro del BarCamp da Daniela Cerrato nel mio bar diurno preferito (Todo Modo, Bovisa).
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C'è un motivo per cui li chiamiamo social, stì new media, anche se c'è chi si ostina a pensarci tutti in casa a volare su seconlaif.
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Ha iniziato Pierluigi di ZeusNews, che ha visto i nostri libri nella vetrina:
della libreria Artè di Torino (quella che si vede nel fim Santa Maradona), in Via S. Francesco, traversa di V. Garibaldi, ed è sempre molto aggiornata.
Io flirto con tutti. Non riesco a sopportare le persone con cui non posso flirtare. Se non flirto con te, non mi piaci o mi metti in soggezione e aspetto che inizi tu. Di solito inizio io, soprattutto se sei donna o gay, perché il flirt perfetto è quello che non punta a niente e si conclude in sé.
La (mia) parola di marzo è: grottesco.
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Ci sono poche sensazioni più erotiche del perfetto funzionamento del tuo corpo: lo senti muoversi e accelerare, le gambe spingono, le braccia ondeggiano, i muscoli si contraggono e si rilasciano a seconda delle esigenze. La corsa impegna tutto il corpo, come un amante che non si accontenta.
(pezzo tagliato da "Non giocare con la sabbia, in Hard Blog)
Ieri sera ero stanca, ma così stanca che mi sono messa a giocare con una candela; era così bello indirizzare la fiamma verso i lati, vedere la cera sudare e gocciolare, creando strani disegni, era così bello che sono andata completamente in trance.
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Non sono una piacevole compagna di spogliatoio, in palestra. Non chiacchiero, non saluto, non guardo nessuna negli occhi. Però sbircio e ascolto, parecchio, non ci posso fare niente. A volte trasecolo, come ieri.
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Da qualche anno frequento gli oroscopi come forma letteraria, cercando di recuperare la natura politica (anche tra me e me) del vaticinio degli antichi. Far quadrare oroscopi contrastanti è un bell'esercizio mentale e diplomatico (oltre che fonte di notevoli ghignate).
"Non soffrite di altruismo calcolato. Sapete essere fedeli a una visione che non subisce né propone inganno, e non valutate voi stessi come un utile da non concedere a nessun altro".
Imparare qualcosa, anche oggi. Soldi, fama, uomini, borse, viaggi, vini: sono tutti obiettivi di corto respiro, che impallidiscono rispetto alla possibilità di accrescere il tuo bottino di idee, competenze, informazioni, tecniche.
Imparare qualcosa è facile, gratuito e quasi sempre divertente: richiede un solo ingrediente, che è una delle poche cose buone, che fanno bene e non fanno ingrassare. L'attenzione.
Soprattutto dopo una certa età e a certe latitudini, fare attenzione diventa apparentemente meno spontaneo. Cambiare modalità di interazione con l'universo aiuta: ascoltare di più se sei una che guarda molto, toccare tutto, andare in giro col naso per aria invece che rivolto al tuo ombellico.
Io a un certo punto mi sono messa a fotografare. Per una persona come me, che vive tradotta e mediata da righe di quel codice che chiamiamo alfabeto, iniziare a guardare il mondo per poter in qualche modo replicare in uno scatto la bellezza e l'interesse di ciò che vedi significa una seconda nascita.
Passo interi pomeriggi sconcertata dall'interesse per ciò che mi circonda e che finora ho dato per scontato. Il cinema ha acquisito un'ulteriore profondità, la realtà mi si squaderna davanti in geometrie, colori, molteplici piani di azione e di significato. Fotografare è ipnotico, è come ascoltare i ricordi di una persona anziana, come leggere un libro avvincente, come scendere da un aereo e non riconoscere nulla di ciò che vedi. Fotografare è solitudine necessaria, ma una solitudine che arricchisce e che ti avvicina agli altri, dopo.
Ogni giorno imparo qualcosa di più sulla strada in cui abito dal 1992, sulle persone che incontro, sui piani alti di una città visiva e nascosta come Milano. Poi torno a casa, scarico le foto sul mio computer e butto il 99% di quello che ho visto, ma non sono stata capace di riportare a casa. Lo imparerò domani.
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Venerdì prossimo sono a Firenze e poi proseguo per Roma. Essendo poco orientata nello spazio e nel tempo, mi ero autoconvinta che il BarCamp fosse sabato prossimo. Poi ho scoperto che oggi non è il 12 gennaio, ma il 19: non l'ho scoperto grazie all'agenda che guardo ogni cinque minuti, ma perché mi sono venute le mestruazioni.
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Decido che forse cambierò palestra. Decido di andare a chiedere un ingresso prova in una palestra in centro per sole donne (very relaxing).
L'idea che sia opportuno spingere più persone possibile ad aprire un blog o a frequentare "la parte abitata della rete" non mi ha mai convinto del tutto: pur essendo convinta dell'importanza di combattere il digital divide (generazionale e non) con la divulgazione, sono fondamentalmente restia a rompere le palle agli altri con le mie passioni/convinzioni. A meno che. A meno che non colga quella scintilla di interesse potenziale, l'unica molla che mi garantisce che chi ho di fronte non annuirà per tenermi contenta e soprattutto che gli sto facendo davvero un favore. Va anche detto che dire "no, guarda, non è roba per te" è spesso l'unico modo per ottenere l'attenzione di qualcuno. Anche in aula e con i clienti detesto la parte di quella che vuole "convincere" l'interlocutore che farebbe meglio a darmi ascolto: se non ci riesco con la forza dei contenuti, stupido pensare di imporsi in termini di relazione (tipo: mi paghi per non fare quello che ti dico, che rimane un diritto del cliente).
Oh my god. Sei autorizzato a prenderci per il culo fino alla fine del tempo.
Ho cercato di resistere, ma l'invito di Luca M. mi guardava colpevolizzante dalla finestra; ecco il mio autosputtanamento: