Evangelizzazioni forzate
L'idea che sia opportuno spingere più persone possibile ad aprire un blog o a frequentare "la parte abitata della rete" non mi ha mai convinto del tutto: pur essendo convinta dell'importanza di combattere il digital divide (generazionale e non) con la divulgazione, sono fondamentalmente restia a rompere le palle agli altri con le mie passioni/convinzioni. A meno che. A meno che non colga quella scintilla di interesse potenziale, l'unica molla che mi garantisce che chi ho di fronte non annuirà per tenermi contenta e soprattutto che gli sto facendo davvero un favore. Va anche detto che dire "no, guarda, non è roba per te" è spesso l'unico modo per ottenere l'attenzione di qualcuno. Anche in aula e con i clienti detesto la parte di quella che vuole "convincere" l'interlocutore che farebbe meglio a darmi ascolto: se non ci riesco con la forza dei contenuti, stupido pensare di imporsi in termini di relazione (tipo: mi paghi per non fare quello che ti dico, che rimane un diritto del cliente).
Comunque, che ne sia convinta o no, parlo fin troppo di quanto Internet (non solo i blog) ha migliorato la mia vita personale e professionale e la parte dell'evangelista esaltata la faccio spesso o volentieri: per esempio oggi Marcella, che ha un negozio delizioso dove vende le sue creazioni (soprattutto cachemere, ma non solo) mi ha chiesto un consiglio per migliorare il suo sito. A parte compiacermi per la mia migliorata socialità (sto passando da fissare il muro a chiacchierare nei negozi), l'ho supplicata di aprire un blog in cui ci racconta le sue giornate di stilista artigianale in una corte dei Navigli. Le ho anche detto di telefonarmi se ha bisogno di aiuto (gratis) e spero di non averla terrorizzata (l'economia del dono fa paura, la prima volta che ci inciampi).
Più che stressare chi mi sta intorno con le sorti magnifiche e progressive di chi sceglie di diventare parte dei media, invece di limitarsi a subirli passivamente, preferisco scrivere (vedi anche alla voce "timidezza"), fermamente convinta che una delle qualità della scrittura di cui siamo meno consapevoli è che parla solo a chi già vuole ascoltare (manuali universitari a parte).
Per esempio, ci sono un tot di pagine su Vogue gennaio di cui mi prendo la responsabilità (in solido con Alberto e Serena): prego solo chi pensa che in Italia nulla cambi di notare che Vogue (Vogue) ha praticamente dedicato un intero numero a Internet, dando voce anche a chi Internet la vive e la pratica tutti i giorni. Con un'entusiasmo, una curiosità e una dialettica sorprendenti (ma anche no).
Se siete feticisti, ombelicali e autoreferenziali, nel mio articolo su come cambia il galateo con i social media ci sono le foto di un centinaio di blogger, forse vale la pena di dare un'occhiata :D