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04 marzo 2008

Per tutte quelle donne

Quando qualcuno dice che Natale è per i bambini a me viene sempre in mente che per me Natale aveva senso finché era viva mia nonna. E' come se avessi avuto solo 30 Natali a disposizione: all'ultimo lei era già riottosa e ostinata e "incazzusa", come si dice a Taranto, però tutti noi nipoti (otto) le avevamo regalato un televisore nuovo, che il suo aveva una specie di patina gialla di filtri impazziti, e per un pomeriggio sembrava la solita nonna di sempre. Per lei Natale era quel giorno in cui si mangiava tutti in salone (i bambini nel tavolo a parte), con i piatti di porcellana e le posate d'argento: il suo albero era sempre il più bello di tutti, a noi nipoti grandi regalava dei soldi però appesi all'albero, ai generi sempre un regalo uguale, quattro camicie, quattro bottiglie di vino, quattro cravatte, quattro. Io arrivavo presto e lei aveva già cucinato tutto, mi ha insegnato il trucco di svegliarmi all'alba per far le cose pallose e poi godersi la giornata, io arrivavo presto e guardavo i pacchetti e grattuggiavo il parmigiano per i tortellini, che dovevano cuocere rasi di brodo, mai annacquati, per carità.

Mia nonna era tutto quello che avrei voluto essere: elegante, indipendente, prepotente, dura, affascinante, sicura, intelligentissima. Ultima di nove figli, aveva studiato a Firenze, lontano da casa, in un'epoca in cui le donne a stento finivano le medie e quando sono nata io lavorava (insegnava Educazione Artistica). Aveva sempre le Tic Tac in borsa e fumava le Gala, pur di non farsi vedere in disordine si sarebbe buttata sotto un tram.

Mia nonna mi detestava nella mia adolescenza sciatta e mi criticava quando sbagliavo con gli uomini, soprattutto quando sembravo non capire che avrei potuto "rigirarmeli tutti intorno al dito mignolo" e avevo un bel dirle che non era tra le mie priorità, per lei "con le foto dei corteggiatori bisognava poter giocare a carte - carte francesi". Era bella assai, più bella di mia madre, che è più bella di me: insieme a noi due nelle serate che da bambina e poi da ragazza passavo da lei che faceva finta di leggermi le carte c'era sempre anche una sua sorella vedova, Zia Cesira, che era una di quelle donne che non si sono accorte di essere invecchiate e appesantite e si muoveva con una grazia visibile solo se dallo sguardo capivi che si sentiva ancora una ventenne irresistibile. Zia Cesira si lamentava perché quando mi chiamava io facevo finta di non sentirla: per un certo numero d'estati abbiamo diviso la camera di destra, in campagna, quelle estati lente in cui al pomeriggio si "flittava" e noi bambini eravamo bloccati in camera perché in salone c'era il veleno e fuori la controra, e io leggevo e leggevo e leggevo e lei mi chiedeva delle cose e io già allora non è che facevo finta, proprio non la sentivo. Zia Cesira odiava andare a messa e faceva sempre in modo di fare tardi a prepararsi, poi diceva con tono saputo "basta l'intenzione" e io di questa capacità di far fesso il creatore me ne sono servita fin troppe volte, nella mia vita.

Con queste donne formidabili alle spalle non potevo che crescere maschiaccio, e perduta, e disordinata, finché poi non mi sono repentinamente sposata, e in abito bianco, e prima di avere 30 anni, giusto in tempo per vederla ancora in prima fila, magrissima, elegantissima, vecchissima eppure ancora capace di far tardi e far ridere tutto il tavolo prima di ritirarsi. Quanto le piacerei oggi, me lo dico senza falsa modestia: tutto quello che ho fatto di buono e di bello l'ho fatto pensando alla sua approvazione, a quando mi riavviava i capelli e mi prestava una borsetta che "senza una donna non può farsi vedere", lei e il suo eterno impermeabile di Burberry's e il foulard e le spille, quanto ti piacerei oggi nonna Nella, anche quando faccio la buffona perdendo un po' di classe o mi inoltro in radure che non si sa bene dove condurranno.

Sarà che dopo di lei sono successe cose che mi hanno per un po' fatto passare la voglia di famiglia, ma senza di lei non santifico più le feste e quando penso di chiamarla, che a star lontani ci si distrae e si dimenticano i morti e i vivi, poi penso che sono otto anni più o meno adesso e non sono mai stata triste che sia morta, perché grazie a lei io, ancora oggi, nonostante tutto, viaggio leggera.

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