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09 giugno 2008

Intelligenza distribuita

Io come progettista non valgo granché, da sola. Ogni tanto ho delle idee carine, a volte delle vere e proprie intuizioni, quasi sempre la capacità di sintetizzare le esigenze di tutti. Ma se dovessi lavorare da sola dovrei cambiare mestiere: senza confronto non valgo molto.
Da quando ho iniziato a lavorare, nel 1991, ho sempre detestato la mitologia del lavoro di squadra. In realtà ho iniziato a detestarlo fin dai tempi del liceo, quando ci dividevano in gruppi per far qualcosa "insieme" e alla fine questo significava solo che mi rompevo talmente le palle ad aspettare gli altri che facevo tutto io. Un po' come nella riunione-tipo, che si discutono tante cose, si prendono tante belle decisioni, se va bene si fa un bel verbale, e la settimana dopo si rifa la stessa riunione, and again, and again. Io continuo a pensare che a una riunione si debba arrivare informati e discutere solo i punti poco chiari o su cui c'è disaccordo: a volte capita e non a caso sono incontri che durano a volte pochi minuti.
Tanto odio il lavoro di squadra, tanto adoro lavorare in rete, soprattutto quando tutti i nodi condividono informazioni, valori, un minimo di visione e una fortissima competenza nel loro ambito. Intelligenza distribuita e condivisa, senza pianificazione. Io e il Vanz per esempio siamo una rete favolosa: se dobbiamo lavorare "insieme", litighiamo nel giro di dieci minuti. Se ognuno va per i fatti suoi costruisce qualcosa che è indispensabile al lavoro dell'altro, almeno, per me è così: l'ho detto tante volte ma scritto mai, il fatto che lui stia sempre un passo dietro di me è perchè le spalle - forti - sono le sue, io sempre più spesso mi limito a dire bene la poesia.
Un'altra rete formidabile è Daimon-WebSushi-Ideato. Non un sistema perfetto, soprattutto per colpa mia, che mi appoggio troppo spesso alla loro bravura. Quando però si tratta di coordinare lo sviluppo di un lavoro creativo, con clienti curiosi, ansiosi e desiderosi (i migliori), la perfezione del meccanismo non dev'essere un obiettivo: l'obiettivo è il risultato finale, e come dicevo all'inizio se chi partecipa a produrlo si aspetta che tutta l'intelligenza sia in un solo nodo (il mio), io presento subito la giustificazione e me ne vado a casa.

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30 ottobre 2007

Il contratto che recinta i giornalisti

Chi mi legge capisce regolarmente lo sa: credo che nella stragrande maggioranza dei casi i singoli siano intelligenti, competenti e leali e che le organizzazioni note come aziende siano il modo più efficiente per trasformare l'interazione dei comportamenti dei singoli in un pantano ipocrita e senza senso. Marco Mazzei dà una buona dimostrazione di questa mia convinzione parlando di una categoria di cui ci si lamenta spesso:
Il contratto - e i giornalisti italiani, però, hanno un problema più grande, che si chiama organizzazione del lavoro e ruoli. Il contratto giornalistico disegna un’organizzazione rettangolare, gerarchica e chiusa. Rettangolare nel senso che può essere rappresentata con una serie di rettangoli all’interno del quale è scritta una definizione; un rettangolo sopra l’altro si parte del praticante per arrivare al direttore responsabile, passando per redattore, caposervizio e caporedattore (esistono simpatiche sfumature come i “vice” che non cambiano la sostanza). Questo modello non esiste in Rete e quindi non può funzionare. In Rete ci sono i cerchi, e le strutture sono aperte.

Leggetelo tutto, il suo post: il sistema siamo noi, è fatto da persone come noi, se noi accettiamo che non si può cambiare siamo fottuti.

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