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29 novembre 2008

La mia palestra mi ha lasciato

Io sono una cliente decisamente fedele: mi è capitato più spesso di essere tradita da un prodotto/servizio, perché modificato e/o ritirato dal commercio, che di tradire io. L'ultima delusione me l'ha data la palestra, il Vico Cenisio.
Prima ero iscritta al Vico di Via Vico, anche se lontano da casa, per un motivo semplicissimo: era forse l'unica palestra di Milano con delle vetrate. Tutte le altre, anche le più belle, sono in un sotterraneo. Quando nel 2000 è stata aperta un'altra sede, più vicina a casa mia, mi sono iscritta ancora prima dell'apertura, e ogni anno ho religiosamente rinnovato il mio abbonamento.
La prima crepa del nostro rapporto è stato alla ripresa di settembre del 2003 (o era 2004?) quando il mio amatissimo corso di fit boxe è stato sostituito con un corso di boxe training, che non è affatto la stessa cosa (boxe training implica combattimenti uno a uno, troppo intimi per la mia voglia di prendere a calci qualcuno o qualcosa). Più o meno contemporaneamente si è rotta la porta di uno dei quattro bagni e le docce hanno perso pressione, due problemi mai risolti a tutt'oggi. Ho rinnovato l'abbonamento lo stesso, per due motivi: il piacere di allenarsi guardando fuori (un cortile con qualche albero, ma luminoso) e il deposito borse con asciugatura. Il deposito borse - che costa 20 euro al mese - significa che tu puoi andare in palestra quando vuoi, senza doverci pensare prima, e che puoi uscire dalla palestra e andare da qualche altra parte senza un malloppo di roba bagnata. Un minimo di organizzazione per lavare una volta su due le cose che usi, ma comodissimo.
A fine agosto torno in palestra e al posto del deposito borse c'è un cartone con scritto "servizio momentaneamente sospeso". Nessuno mi sa dare spiegazioni convincenti, speranzosa mi convinco che hanno solo cercato di risparmiare qualcosa di personale ad agosto. Per una serie di motivi poi - non ultima la paura di verificare lo stato del servizio - sono tornata in palestra solo oggi, e purtroppo la situazione è identica: il servizio è "momentaneamente sospeso per rinnovo locali". Mi permettono di recuperare la borsa, da cui mancano due cazzate e in cui trovo due cazzate non mie. In cambio del servizio mi assegnano un armadietto, il che è un po' più comodo di nulla, ma ovviamente non puoi chiuderci dentro la roba bagnata. Alla reception mi assicurano di avermi chiamata per avvisarmi e per permettermi di recuperare la borsa: magari mi hanno chiamata una volta sola e mai più, ma comunque non fa una gran differenza: io ho pagato fino ad aprile 2009 un servizio che mi è stato tolto, nonché uno dei motivi per cui continuavo a rinnovare l'abbonamento in una palestra in sempre più palese decadimento.

Certo, potrei incazzarmi, provare a farmi restituire i soldi, cambiare palestra, ma non è così facile. Io voglio continuare ad andare in quella palestra lì, che mi piace tantissimo. Negli anni ne ho viste altre - quasi tutte - e per un motivo o per un altro non me ne piace nessuna. Ancora una volta sono costretta ad accontentarmi di un succedaneo di qualcosa che amavo perché chi la gestisce non è stato in grado di mantenerla al meglio. Certo, non è una tragedia, ma a prescindere dal mio personale disagio di persona abitudinaria e dai gusti difficili, sono sicura che c'è qualcosa di profondamente sbagliato in un mercato in cui si perdono clienti affezionati per mancanza di qualità.

Ora, c'è qualcuno che mi suggerisce una palestra dignitosa in zona Garibaldi che non sia un rifugio per topi? Aperta anche il fine settimana, con dei tapis roulant moderni e una doccia degna di questo nome?

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24 marzo 2008

Dell'amatoriale e del professionale

Ho sempre pensato che BlogBabel sia una delle migliori dimostrazioni dei risultati che si possono raggiungere mettendo insieme un gruppo di persone competenti senza una regia interessata o un cliente pagante. Ho sempre pensato anche che lo stile di relazione di questo gruppo di persone ricorda un po' troppo quello del GCN, il Gruppo Coordinamento News che gestisce la gerarchia .it in Italia (Usenet) e che si è sempre preso un po' troppo sul serio (pur con picchi di autoironia, va detto).

Io apprezzo BlogBabel, anzi, come scrivevo su Twitter ieri, è un servizio professionale che sarei disposta a pagare, al pari di FeedBurner o MyBlogLog. Ho stima e simpatia per la maggior parte delle persone che ci lavorano, anche se ho la sensazione che qualcuno non ricambi (ma me ne sono fatta una ragione).

Ho come la sensazione che il nervosismo per alcune polemiche reiterate, l'oggettivo fanatismo di un tot di blogger che paiono avere la loro posizione in classifica come unica ragione di vita e una notevole mancanza di esperienza in termini di customer care (dove impari in fretta a farti rimbalzare le critiche estranee ai fatti) portino spesso gli amici di BlogBabel a reagire in modo esagerato (Cfr Kill Bill), in alcuni casi come l'ultimo addirittura infantile.

E' vero che BlogBabel è un servizio amatoriale, ma è anche vero che il fatto che venga percepito da moltissimi come un servizio professionale è indice della sua qualità. E' vero che ci sono difficoltà oggettive nel permettere la cancellazione dei blog da parte del proprietario, ma è anche vero che questa appare come una richiesta legittima che non può essere rifiutata (a prescindere dai toni e da chi la richiede).
E' vero che la maggior parte delle mail della lista sono inutile rumore, ma a questo punto - eccheccazzo - chiudete la lista, non il servizio. Alla milionesima mail che chiede aiuto in lista invece che con "l'apposito form" il dubbio che forse la lista crea più confusione che utilità dovrebbe sorgere anche nelle menti più sequenziali.

Ludo non perde occasione per esprimere il suo disagio e il suo disprezzo nei confronti dei "blogger italiani", ma andarsene via portandosi dietro il pallone non depone esattamente a favore della sua maturità. Credo che abbiamo perso tutti un'occasione per stare zitti (io compresa).

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12 luglio 2007

L'ingenuità del giudizio

Quando parliamo di applicazioni sociali, come i blog o le chat o Twitter, tendiamo fatalmente a confondere il medium con l'esperienza: è come chiedersi "a cosa serve un libro?" o "è bello un film?". La qualità del medium dipende dalla qualità del contenuto, il che complica ulteriormente le cose quando il contenuto non è predefinito e uguale per tutti. Abituati alla stampa, che produce copie oggettivamente identiche, tendiamo a porci di fronte a una rete come se fosse una fonte unica e a scambiare il nostro vissuto con la realtà del fenomeno (detto più semplicemente, confondendo "i blog che leggo" con "lo strumento blog").

Non è possibile leggere tutti i blog o vedere tutte le foto di Flickr e nemmeno averne un'esperienza estesa e condivisa e stabile nel tempo, simile a quella che abbiamo per i libri o per le soap opera (il che ci permette di dire che, in genere, i primi hanno più valore della seconde). Questo - forse - verrà con il tempo. Ma forse no: un medium sociale che associa contenuti sociali a contenuti informativi, alto e basso, permanenza e volatilità, spontaneità e interessi e in cui ognuno aggrega la propria versione del reale potrebbe essere inconoscibile qualitativamente e restare meramente "descrivibile" (in termini di cosa permette di fare e cosa no e come, che non è poco).

Vediamola da un altro punto di vista: Internet è un metamedium sociale che mette insieme la distribuzione/fruzione di contenuti non mediati con la frequentazione di un ambiente vissuto cognitivamente come "luogo". La qualità di un'esperienza sociale dipende sicuramente anche dalla qualità dell'ambiente in cui si svolge, che però non può neanche essere considerata una condizione necessaria: è sicuramente meglio essere tristi e soli alle Maldive che in coda in tangenziale, ma con la giusta compagnia si può essere molto più felici in coda in tangenziale che alle Maldive.

Twitter, blog, second life, flickr in sè non hanno promesse nè garanzie di qualità dell'esperienza: questa dipende dalle persone e dalla qualità (ingestibile) del contenuti/esperienza che popolano la mia rete (diversa da quella di tutti gli altri).
Credo che la maggior parte delle difficoltà di interpretazione dei media sociali da parte di chi ne rimane al di fuori (o ne ha un'esperienza parziale) sia proprio accettare che l'esperienza di ognuno è unica e imparagonabile a quella degli altri, perché ciascuno legge e segue un insieme diverso di persone (e con motivazioni diverse). E' vero anche a partire da medium stampati (sono io con la mia personalità che completo un libro, un film, un'opera d'arte etc), ma qui alla personale interpretazione aggiungiamo l'incredibile complicazione di un'esperienza per definizione sempre e comunque unica, personale e mutevole.

Anche per questo qualunque valutazione di merito dei contenuti e del valore di un media sociale è, nella migliore delle ipotesi, ingenua: quel che si valuta è in realtà la propria personale selezione e la propria capacità di trovare persone interessanti, o di trovare interessanti le persone.

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