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21 ottobre 2007

Call me Cassandra

Qualche giorno fa ho scritto:
Chi vuole vendere il suo blog e la reputazione con esso guadagnata, è liberissimo di farlo, ma per favore, non mettetemi (non metteteci, che il Maestrino sottoscrive) nello stesso campo da gioco.
Frase che basta conoscere a memoria Pulp Fiction per capire che non c'era nessuna intenzione di definire buoni e cattivi, ma che sono due cose diverse.
D'altra parte, qualche mese fa avevo scritto:
Quello che vedo più pericoloso, in termini di contaminazione di una dinamica fertilissima di condivisione disinteressata, è l'ambizione di usare il proprio blog come trampolino di lancio per la visibilità sui media, la popolarità e la professione. Pericoloso non in assoluto, ma solo quando genera una scrittura paraprofessionale, la convinzione di dover "coprire" tutti gli argomenti e un'inconscia (ma anche no) mediazione tra ciò che si desidererebbe scrivere e ciò che conviene scrivere.

In quest'ultimo caso a mio parere sarebbe opportuna una maggiore consapevolezza del fatto che, a prescindere dallo strumento utilizzato, si esce da una dinamica sociale per entrare in una editoriale, cambiando a tutti gli effetti campo di gioco.
Sarà anche per questo che non riesco (ancora) a indignarmi per il decreto legge che estende l'obbligo di registrazione al ROC a "qualsiasi attività editoriale su web" (diciamo che mi indigno che ci sia una roba come il ROC, a prescindere dalle recenti modifiche). In realtà il testo del decreto, nel definire quali sono le "attività editoriali" che dovranno registrarsi, le specifica così:
"Per attività editoriale si intende ogni attività diretta alla realizzazione e distribuzione di prodotti editoriali, nonché alla relativa raccolta pubblicitaria. L'esercizio dell'attività editoriale può essere svolto anche in forma non imprenditoriale per finalità non lucrative".
A me sembra (ma posso sbagliarmi) che "nonché" sia una subordinata aggiuntiva, molto vicina a un "relativa" che lega le due cose. Questo vorrebbe dire che al ROC si deve registrare chi realizza un prodotto editoriale (anche se sotto forma di blog) E ne vende la pubblicità, non chi ha un blog a puro scopo sociale (la stragrande maggioranza). La frase sulle finalità non lucrative può trarre in inganno, ma lo scopo di lucro non è determinato dalla presenza di scambi economici.

Se è così, io non riesco a combattere un decreto che determina maggiori responsabilità per chi svolge un'attività professionale online (è questo l'altro "campo da gioco" di cui parlo da mesi), anche perché è una misura che riguarda davvero un numero minimale di siti che spesso del blog hanno solo il software (anche se certe sirene che millantano enormi guadagni stanno aumentando il numero di futuri delusi in giro).

Se invece quel "nonché" è volutamente impreciso e il decreto mira davvero a far registrare al ROC tutti i blog, è l'ennesima legge inapplicabile (come quella che avrebbe dovuto obbligare tutti a consegnare in biblioteca una copia del proprio blog) e davvero non riesco a vederla come una "Internet Tax", soprattutto considerando la pronta smentita del responsabile della legge.

Condivido l'ansia per qualunque tentativo di regolamentare la libertà di espressione in rete e detesto la burocrazia di strumenti come il ROC, ma credo sia opportuno restare calmi, evitare gli slogan (qualunque cosa sia, non è una "internet tax") e accettare il fatto che la rete non è (e non deve essere) una zona franca in cui valgono regole più lievi per chi informa (i blog tematici) o peggio ancora per chi diffama.

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